“BRUCIA LA VECCHIA” SU THE BOOKISH EXPLORER

“BRUCIA LA VECCHIA” SU THE BOOKISH EXPLORER

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Brucia la Vecchia: Attitudine punk, femminismo e memoria del cuore si mescolano nel nuovo romanzo di Valeria Disagio.

Forse non tutti conoscono Valeria Disagio, cantante in svariati gruppi punk, autrice ma anche artista in senso ampio potremmo dire. Dopo svariate attese finalmente ho messo le mani sul suo nuovo libro: Brucia La Vecchia.

In questo nuovo libro, edito da Bookabook tramite crowdfunding, Valeria ci porta in un piccolo paese di montagna per conoscere Nilde. La protagonista è una giovane dall’animo complesso che vive con i nonni. Quel che ancora non sappiamo, e nemmeno Nilde sa, è che la sua vita è stata costruita su un dolore immenso ma anche sulle menzogne.

Ed è in una sera d’estate che prende vita l’avventura di Nilde alla ricerca della verità. Così la ragazza si ritroverà in città a scavare tra i ricordi di quattro persone diverse, mentre lei stessa scava dentro di sé. Farà bene a scavare? O la scoperta della verità sarà traumatica? Non ci resta che seguire Nilde avventurarsi dentro la pancia della città e della memoria.

Si parla anche del mondo, della nostra società, di donne e di tradizioni. E di come tutto venga consumatofagocitato dalle leggi della società per bene. Quella borghesia perfetta, quel capitalismo che ci strappa dalla natura e da noi stessi: anche questo sarà il percorso di Nilde.

E in un finale non scontato scopriremo anche noi la verità e potremmo dire metaforicamente: Brucia la vecchia. Facendo sempre il tifo per questa giovane alla scoperta della vita.

INTERVISTA SU VIVAMAG (Feb. 2019)

INTERVISTA SU VIVAMAG (Feb. 2019)

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Valeria nasce un lunedì di pioggia del novembre del 1982 a Varese. Diventa “Valeria Disagio” sull’orlo estremo tra l’adolescenza e l’età adulta. Ha esordito giovanissima con il romanzo “Casseur: la lotta, l’ebbrezza e la Città Giardino”. Poi ha perso parecchio tempo nella precarietà del lavoro e nell’inquietudine politica. Ha scritto molti racconti, pamphlet e poesie. Ha gestito un blog – da cui è nato il libro “Discount or die” edito dalla Nottetempo -, ha curato fanzine e cantato in collettivi punk. Ha intenzione di continuare a fare tutto questo…

Ciao Valeria… Dobbiamo chiamarti “Disagio” o come?

Ah, Disagio va benissimo! È uno pseudonimo nato per puro caso, ma ormai mi ci sono affezionata! Dice molto di me e di come mi pongo nei confronti di ciò che mi circonda! Non volevo usare il mio cognome su Facebook e allora ho messo l’appellativo che usavo quando lavoravo nel sociale e dovevamo mappare l’utenza ma senza violarne la privacy. Allora al posto dei cognomi mettevo “disagio” come cognome…. Lorenzo Disagio, Silvia Disagio…. E così via. Col passare del tempo, il fatto di sentirmi a disagio rispetto a ciò che mi circonda, per me è diventato un manifesto. Qualcosa che ha costruito la mia identità e personalità in risposta agli stimoli e le bastonate esterne.

Vuoi raccontarci del tuo rapporto con la scrittura?

Ho sempre scritto. Da quando ho imparato a farlo. All’inizio era una valvola di sfogo. Ho iniziato a scrivere per rabbia perché i miei non mi avevano fatto entrare ad una festa di Radio Lupo Solitario perché ero troppo piccola! E per me, ai tempi, Radio Lupo solitario era tipo la cosa più meravigliosamente incredibile del mondo. Ricordo che io e la mia amica Oriana, sentendo tutte le pubblicità dei negozi di Gallarate, andavamo in pellegrinaggio lì, credendo che fosse davvero il centro del mondo e l’ombelico del punk-rock! In ogni caso, scrivere, è qualcosa che ho sempre fatto. In forme diverse. In modalità diverse. Dallo sfogo emotivo è diventato qualcosa che ho imparato ad addomesticare e controllare e che mi fa star bene. Mi diverte fare. Una sorta di puzzle o rompicapo quando si tratta di una scrittura “strutturata” come per canzoni che devono stare in una metrica o se devo inventare un claim / payoff per lavoro o se devo stare in un determinato numero di caratteri per i social. La narrativa, invece, è un altro discorso. Lì non ci sono limiti. Io ho delle vaghe idee in testa. Un concetto o qualcosa che vorrei raccontare. Mi metto lì davanti ad un foglio e so che ad un certo punto comincerò a scrivere e la storia verrà fuori un po’ come in un processo automatico e sensibile. Che rapporto ho? Vorrei poterlo fare sempre e in modo regolare. Con tutto il tempo che serve, ma purtroppo al momento o scrivo per lavoro o scrivo la sera (o di notte) dopo 9 ore in ufficio.

Il tuo esordio letterario è stato con il romanzo “Casseur: la lotta, l’ebbrezza e la Città Giardino”. Che ricordi hai di quel libro e di quel periodo della tua vita?

Ho dei ricordi assurdi e confusi. Ero così giovane e “Casseur” era nato per caso, assemblando tutto il materiale che avevo scritto praticamente dai 15 ai 18-19 anni. Dopo molto, per strani incroci del destino, è stato pubblicato che ne avevo 23 o 24. In verità volevo scrivere un libro da regalare alle mie amiche a Natale per raccontare i nostri 18 anni (la fine delle scuole superiori, il G8 di Genova e i primi drammi di cuore…). Lo mandai ad un collettivo di lettori, “iQuindici”, una costola dei Wu Ming e loro se ne innamorarono. Dopo averlo proposto ad una serie di piccole case editrici che ai tempi erano sensibili a certi temi e certe pratiche (come il copyleft), hanno trovato un editore che me lo ha pubblicato. Le cose non sono andate benissimo dal punto di vista umano con l’editore (cosa che mi accade ciclicamente!) e quindi ho interrotto i rapporti professionali e umani. Ai tempi credevo davvero che avrei fatto la scrittrice di lavoro e che pubblicare un romanzo fosse il primo passettino di un futuro certo e stabile nel mondo dell’editoria. La critica aveva reagito in modo molto positivo. Ma poi, finita l’università, ho passato anni e anni a lottare contro la precarietà professionale, casini personali e pur non avendo mai smesso di scrivere, purtroppo, ho relegato la scrittura ai rari ritagli di tempo che riuscivo a salvare dal delirio della quotidianità. Sentendomi magari in colpa perché rubavo il tempo alla gestione della casa o ai rapporti con le persone che avevo attorno. Però ho continuato a fare parecchie cose, sempre a caso! Fare cose a caso è la mia cifra stilistica!

Tempo dopo hai trasferito la scrittura sul web (il blog “discount or die”) ma poi è nato anche un libro/guida cartaceo sui prodotti da discount. Vuoi parlarcene?

Ecco… “Discount or die” è la prova più lampante e concreta di come, spesso, le cose mi accadano senza che io le vada a cercare. Il blog è nato come una goliardata tra amici. Ai tempi ero super squattrinata e studiavo copywriting e scrittura creativa allo IED (mi sono potuta permettere lo IED solo grazie a dei soldi ricevuti come risarcimento per la tragica morte di mio nonno in un incidente!) e ad una certa c’era questo art director della Ogilvy che ci ha fatto una lezione sul concetto di invertising, ovvero un nuovo modo di concepire la pubblicità ai tempi dell’internet. L’idea è quella che in un’epoca in cui siamo tutti connessi non ha più senso dire che ciò che vendo è bello o buono o santo, perché tanto i “consumatori” – concetto che lui rifiutava, per giunta. Così come rifiutava tutto il gergo militare o di guerra che si usa nella pubblicità o nel marketing – parlano tra di loro, creano comunità virtuali di scambio reciproco e prima di comprare cercano sul web il parere dei loro “pari”. Ed è per questo che oggi la pubblicità ti deve vendere un bel pacchetto di valori e elementi identitari, associandoli ad un prodotto. Far innamorare di un prodotto o meglio, di un brand, perché quel brand parla di noi, di quello che proviamo, di quello che sentiamo, di quello che vorremmo essere. E allora lì mi sono detta: basta vergognarsi di essere poveri e precari, rivendichiamo il discount e il nostro rifiuto (nato anche dalla necessità) di credere che spendere tanto sia necessariamente figo! Basta con la ricerca affannosa della ricchezza a tutti i costi e della realizzazione personale attraverso l’accumulo di carta-moneta! Poi, ai tempi, gestivo insieme al mio compagno un cineclub con baretto annesso e ci divertivamo a recensire birre di merda o snack assurdi proveniente dal mondo delle sottomarche.

E le fanzine? Ricordo quella fotocopiata che girava per Varese… Come si chiamava? “Nihilismi”!

Oh, merda… manco mi ricordo come e quando sia nata! Sicuramente eravamo al cineclub Domenica Uncut e sicuramente eravamo ubriachi. Poi il giorno dopo mi sveglio e la mia dignità (o tentativo di preservarla) mi fa mantenere fede alle promesse fatte o i progetti annunciati da ubriaca. “Nihilismi” è stato qualcosa del genere. Presumo. Era divertentissima e molto libera e trash. Si andava dalla saggistica (come la guida al diritto d’autore o allo squirting) alla narrativa distopica. Grandi firme. Grandi pseudonimi. Io mi firmavo Barbra Streisand e Jessica Fletcher! Se non fossi la cazzona autosabotatrice che sono, Nihilismi avrebbe potuto benissimo essere l’antesignano di “Vice” però meno furbo e più votato al non-sense. Ma come si è capito, credo, faccio spesso cose a casaccio e quando capita di imbroccarne una, faccio il possibile per farla andare male!

Per un periodo sei stata la front-woman di una band punk che ha girato tutta Europa. Cosa ci dici a riguardo?

Sono stati anni bellissimi e intensi. Cantare per me è stato qualcosa di… passami il termine: “mistico”. Mi ha rimesso in contatto col mio corpo, la mia femminilità e la percezione dello spazio che occupo nel mondo. La scena punk è meravigliosamente sconclusionata, irruente e sincera come me. Così sincera che troppo spesso ci si dimentica che ci sono verità convenienti e verità distruttive. Io ho scelto sempre di essere sincera, anche a costo di fare e farmi del male e, nel momento in cui non potevo più esserlo, ho capito che dovevo fare un passo indietro. Suonare in un gruppo punk, fare parte di un collettivo, è qualcosa che va fatto solo e soltanto se si è convinti al 100% o se si vive in un contesto abbastanza resiliente in grado di mettersi sempre e comunque in discussione. Per varie vicissitudini politiche e personali avevo bisogno di farmi da parte, scendere dal palco. Al momento, timidamente e in punta dei piedi, sto mettendo su un altro gruppo. Non abbiamo ancora un nome e abbiamo provato solo poche volte (anche perché c’è di mezzo il mio compagno, nonché chitarrista dei Drunkards, che vive a 300 km da qui), ma prima o poi tornerò a girare e cantare sicuramente.

Vuoi parlarci di “Brucia la Vecchia”?

Tra tutte le cose assurde e controproducenti e potenzialmente dannose che ho fatto nella mia vita, mi è capitato di scrivere diversi romanzi. Alcuni sono stati pubblicati e altri no. “Brucia la vecchia” per esempio, rientra nella seconda categoria e ho deciso di provare a farlo attraverso Bookabook, una piattaforma di crowdpublishing. Ché significa che non sarà un editore a scegliere se questo romanzo merita o no di finire nelle librerie, ma la comunità di lettori che si costruirà attorno a questa storia. Il libro racconta la storia di Nilde (la protagonista) che vive coi nonni a Colle Torto, un piccolo paese di montagna con le strade strette, tortuose e ghiacciate sei mesi l’anno. Orfana, vegetariana e solitaria, indossa il lutto per la morte prematura e violenta della madre, di cui non custodisce alcun ricordo all’infuori di una pigna di libri consumati, qualche disco e le bugie di nonna Adele e nonno Evaristo. «Mio padre non so chi sia. Credo sia un pezzo di cane che ci ha abbandonate» racconta. Eppure sarà una lettera di quel padre sconosciuto a svelare una menzogna lunga quindici anni e a catapultare la giovane Nilde indietro nel tempo, a quell’inverno in cui Lisa morì per mano dell’uomo che amava. Da qui inizia un viaggio fatto di verità nascoste, vite interrotte, sensi di colpa attraverso gli occhi spietati di una sedicenne a cui tocca il compito di giudicare, condannare e liberare dai peccati quegli adulti responsabili (direttamente o indirettamente) della morte di Lisa Malatesta. Sua madre. Come è nato questo libro? È nel 2009 che ho scritto la parola “fine” alla prima versione del romanzo. Da allora ho avuto a che fare con numerosi editori, agenti e neo-mecenati che mi hanno proposto di tagliare di qua, modificare di là, riscrivere e rielaborare per rendere la mia storia più pubblicabile, vendibile a attrattiva. La cosa però non è mai andata a buon fine. Perché insisto? Perché credo in questa storia e nel mio lavoro. Ho scritto “Casseur” che avevo 18 anni. È stato pubblicato che ne avevo una ventina. Da allora non ho mai smesso di scrivere anche se ben poco di tutto ciò che ho prodotto, ha visto la presunta legittimazione di un bollino Siae e di un codice a barre. Le mie parole hanno trovato casa, però, in fanzine fotocopiate e semi-regalate su tavoli sporchi di birra durante i concerti. …e hanno trovato casa nel web, raggiungendo molte più persone di quanto abbia fatto col mio primo romanzo. Ho deciso di usare una piattaforma di crowdpublishing per sperimentare quella che da molti viene considerata una legittimazione dal basso, anche se io preferisco parlare di orizzontalità. No, non è editoria a pagamento che mi fa abbastanza ribrezzo. E non mi sto manco pubblicando il libro da sola implorando la gente di prendere una copia per rientrare nelle spese. La vedo come una sfida! Le regole sono semplici. Ho 100 giorni per raccogliere 250 pre-order del mio romanzo. Ora sono al 41% e mancano un’ottantina di giorni. Se ottengo questo risultato “Brucia la vecchia” verrà pubblicato. Altrimenti chi lo ha prenotato riceverà la sua copia in tiratura limitata e tanti saluti, pacche sulle spalle e facciamoci una bevuta insieme quando ci vediamo. Ah, e poi c’è che mi galvanizzo tutta per le sfide e il mettermi in gioco e avere “l’ansietta adrenalinica” del buttarmi a fare cose a casaccio, e questa roba lo è senza dubbio.

E di “I mortificatori”?

Atra cosa nata a caso. Ho letto “On Writing” di Stephen King e lo ho trovato illuminante. Il sottotitolo è “il mestiere di scrivere”. Nel libro Stephen King racconta la sua vita come scrittore. Da quando, con dodicimila figli, pochi soldi e un lavoro di merda, scriveva nei ritagli di tempo. Della frustrazione dei rifiuti da parte delle case editrici. E del fatto che la moglie abbia raccattato “Carrie: lo sguardo di Satana” dal cestino della spazzatura perché credeva in lui e in quella storia. Quel libro distruggeva e dissacrava l’idea dell’artista tormentato, ingestibile e in balìa dell’ispirazione. Leggendo quel libro ho scoperto che scrivere è prima di tutto un mestiere. Non è solo talento o fortuna, ma l’impegno quotidiano e costante. Un vero e proprio mestiere artigiano. E allora ho provato ad applicare quel metodo (scrivere sempre, tutti i giorni, tot battute al giorno e al massimo poi cestinare e molte altre cose) e ho scelto la struttura del romanzo di genere proprio come sfida. Volevo stare dentro a quelle regole. Non scrivere più solo quando stavo male per sfogarmi, ma farlo con metodo e così ho imparato a farlo divertendomi. Così è nato un horror – noir divertente che uscirà il giorno di San Valentino per Agenzia X

Cosa ne pensi del futuro della carta? Hanno ragione quelli che la danno per morta?
No, non credo proprio. Credo anzi che potrebbe accadere quello che è successo per la musica. Basta produrre libri di merda e sprecare alberi per un cazzo. Che il libro torni ad essere un oggetto prezioso e da amare come un bel vinile! Per il consumo becero e massificato ben venga il digitale!
Tornando a Nihilismi… avevo appunto scritto un articolo che si chiamava dalla Dittatura della materia al feticcio del supporto.

I tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare a fare ciò che ho sempre fatto. Cose a caso. Fare cose a caso coi punx della Valle Olona! (vedi alla voce Olona Wasteland Punx)
Ora però devo traslocare. Dopo aver traslocato credo che dormirò un mese.
Poi voglio ricominciare a lavorare con impegno e costanza al mio nuovo gruppo. Scrivere scrivere scrivere. E arrivare al goal della mia campagna di crowdpublishing di “Brucia la vecchia”.

Presentazione di “I mortificatori” in Cascina Torchiera – Maggio 2019

Presentazione di “I mortificatori” in Cascina Torchiera – Maggio 2019

In occasione del loro diciottesimo compleanno, nel maggio del 2019, i My Own Voice hanno chiamato un nutrito gruppetto di pirati, piratesse balordi e visionari a festeggiare con loro in Cascina Torchiera Senz’Acqua, spazio liberato e autogetsito fin dagli anni 90 in quel di Milano.

Con i My Own Voice ci ho diviso il palco parecchie volte quando cantavo nei Kalashnikov Collective, con loro ci ho anche registrato un pezzo e sono soprattutto degli amici.

Vuoi cantare con me un pezzo del nostro prossimo disco? Sì. Ok, vieni a quell’ora di quel giorno al Mob Sound e inventiamoci qualcosa. Ecco cosa è venuto fuori.

In quel periodo ero in giro per presentare “I mortificatori” il mio romanzo uscito il giorno di San Valentino per Agenzia X e ho accolto con entusiasmo l’invito di Marchidda a portare il mio romanzo anche lì, in Torchiera, prima dell’inizio dei concerti.

Ho sempre detestato presentare i miei libri. Ho sempre trovato imbarazzante e sbagliato trovarmi dietro ad un tavolo separata da un pubblico, con un moderatore che rintuzzava quei quattro gatti (generalmente amici, parenti e mezzo giornalista) a farmi domande. Credo di essere sempre stata praticamente sbronza durante le presentazioni dei miei precedenti libri. Ricordo una volta che qualcuno (ai tempi di Casseur) mi fece notare che usavo troppo spesso la parola “cazzo”. Dopo tre Coca e Jack, finita la presentazione, la ventenne che ero firmò tutte le copie scrivendo solo “cazzo”.

Insomma… le presentazioni dei libri mi suonavano come una cerimonia o un sacramento che non mi rappresentavano. Poi è uscito questo romanzo e la gente mi ha chiamato a parlarne in quegli spazi e a quei collettivi con cui ero entrata in contatto grazie ai concerti e alla militanza e ho scoperto che il punk non smette mai di insegnarmi robe. Via i tavoli, via le barriere di separazione. Tutti in cerchio su un divano umido di pioggia e pieno di peli di cane, insieme al mio amico e giornalista Gabriele Nicolussi, abbiamo dialogato insieme alle persone presenti. Ed è stato uno scambio reale. Bello. Sentito e vissuto. Ecco alcune foto. Purtroppo non ricordo il nome del fotografo o della fotografa. Hei, tu, sei l’autore o l’autrice di queste bellissime foto? Caccia un urlo.

Finita la presentazione… no, finito l’incontro, una vecchiettina adorabile che ricordava una cartomante mi ha chiesto di leggerle un brano del libro ed i sono stata lì, con lei, per una decina di minuti intanto che facevano il soundcheck a leggerle come è nato l’amore tra Orso e Adele.

Don’t tell my mom – su Audible

Don’t tell my mom – su Audible

Non ricordo come. Ma anni fa sono venuta a sapere di questo appuntamento al Pinch di Milano in cui chiunque poteva salire sul palco e raccontare qualcosa che non voleva far sapere alla propria madre. Uniche regole: doveva essere vero, non letto e non durare per più di 5 minuti.

Ho contattato Matteo Caccia, che seguivo su RadioDue, e gli ho scritto che avrei voluto raccontare una storia. Ciò che non volevo far sapere a mia madre è che non avrei mai sposato Giovanni Floris e che iniziava così: “Non dite a mia madre che non si rammendano le calze a rete“.

Dopo quella volta sono tornata diverse volte sul palco del Pinch e con Matteo e Federico Bernocchi ho collaborato anche a “Il grande freddo” uno storyshow organizzato in occasione del festival I BOREALI del 2016 organizzato dalla casa editrice Iperborea.

I BOREALI 2016 – “Il grande freddo” story show

Sul palco del Pinch ho raccontato tante altre storie che non avrei voluto far sapere a mia madre. Ho raccontato di quando, da adolescente, ho perso tot diottrie perché usavo una lente a contatto alla volta per sperperare soldi in cd (la maggior parte brutti). O di quella volta in cui, applicando alla lettera il manuale di autodifesa femminista, ero sul punto di urlare di avere la candida durante un viaggio notturno in treno… e tante altre storie. Ma la primissima che ho raccontato, con la voce che tremava e le parole smangiucchiate, in cui raccontavo che Satana mi aveva aggiustato il termostato… beh, è finita qui. Mica lo sapevo io che le registrava tutte il farabutto! Fatto sta che Matteo Caccia ha raccolto le più belle e ne ha fatto una serie su Audible che potete ascoltare qui , ma non ditelo a mia mamma o ai miei ex fidanzati e soprattutto non ditelo a Giovanni Floris!

LABORATORIO DI SCRITTURA FURIOSA & AUTOPRODUZIONE DI STORIE

LABORATORIO DI SCRITTURA FURIOSA & AUTOPRODUZIONE DI STORIE

Come in quella pagina della fanzine Sideburns (dicembre ’76-gennaio ’77), per cui basta conoscere tre accordi per formare una band punk, per raccontare una storia abbiamo bisogno, invece, di almeno 4 accordi

  • PERSONAGGI
  • STRUTTURA
  • LINGUA
  • METODO

Per rendere più divertente il LABORATORIO DI SCRITTURA FURIOSA & AUTOPRODUZIONE DI STORIE del prossimo 8 giugno in occasione del D.I.WILD#3, sarebbe meraviglioso se poteste mandarmi qualcosa che avete già scritto o anche solo l’idea di un soggetto che vorreste sviluppare.

Come? Provate a seguire le indicazioni di questo primo accordo.

THIS IS A CHORD

I PERSONAGGI (più o meno) secondo il linguista e antropologo russo Vladimir Jakovlevič Propp, ma rivisti in chiave punx.

Propp analizzando cento fiabe della tradizione popolare russa individuò dei loop, ovvero delle situazioni che tendono a ripetersi o ritornare nella narrazione. Li divise in personaggi-tipo e in funzioni/azioni ricorrenti. Andiamo a vedere i personaggi-tipo riletti in chiave punx.

  1. Il potere: chi (individuo, istituzione, sistema) opprime il protagonista.
  2. Il detonatore: il personaggio (positivo o negativo) che dà la motivazione al protagonista di iniziare la sua lotta di ribellione al sistema o di resistenza all’oppressione.
  3. Gli ultimi / le ultime: chi subisce l’oppressione e non ha (o non ha ancora) i mezzi per lottare / resistere.
  4. Compagno/compagna: la persona che aiuta il protagonista nella sua ribellione / resistenza attraverso le sue azioni.
  5. La rivoluzione o l’essere liberi/e: meta e traguardo della ribellione / resistenza raggiungibile soltanto sconfiggendo il potere e distruggendo la situazione di oppressione del protagonista, del compagno / della compagna e degli ultimi / delle ultime.
  6. L’icona: il personaggio che prepara, ispira e accompagna il protagonista attraverso le sue azioni, le parole, l’arte, la musica o il suo martirio.
  7. Il/la protagonista: colui che, ispirato dall‘icona e motivato dal detonatore, aiutato dal/dalla compagno/a sconfigge il potere e conquista la libertà o innesca la rivoluzione.
  8. Il servo dei servi: la persona che strumentalizza le azioni del protagonista o lo annichilisce, criminalizza il detonatore e/o l’icona, mistifica la rivoluzione, minaccia l’essere liberi, annichilisce il protagonista per leccare il culo al potere o replicare le stesse dinamiche del potere.

Spesso, uno stesso ruolo può essere ricoperto da più personaggi oppure, per converso, uno dei personaggi potrebbe ricoprire più ruoli. 

Ricordatevi di:

  • inviare tutto a valeria.disagio@gmail.com
  • lasciare a casa la vergogna, il pudore e l’inedia perché scrivere non è esibirsi, ma darsi.
  • portare un bel quadernone (quello più trash vince cose).

THIS IS ANOTHER…

[Continua…]

LAB. SCRITTURA FURIOSA E AUTOPRODUZIONE DI STORIE @D.I.Wild #3

LAB. SCRITTURA FURIOSA E AUTOPRODUZIONE DI STORIE @D.I.Wild #3

D.I.Wild n.3 ・laboratori, autoproduzioni e arti selvagge・

 PROGRAMMA SABATO 8 GIUGNO 2019 

11:00COLAZIONE

Chi arriva per tempo troverà una bella tavola imbandita per fare colazione. Offre VillaPunk! In mattinata sistemeremo gli spazi e organizzeremo i laboratori, una mano è più che gradita.

13:00 PRANZO 

Pranzo con tramezzini, stuzzichini e dolcetti veg a cura del laboratorio di gastronomia vegetale “La zappa e il Mestolo”

“La zappa e il mestolo” nasce dalle passioni di due ragazzi che si sono unite. Abbiamo scelto di utilizzare ingredienti stagionali di origine biologica, provenienti da circuiti virtuosi locali, certificati ufficialmente o tramite il metodo della garanzia partecipata. Cuciniamo le materie prime con cura, utilizzando metodi che ne preservano al meglio le qualità nutrizionali e NON utilizziamo uova, latte o derivati animali, conservanti.

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14:00LAB. LINOCUT

Dimostrazione e spiegazione della tecnica. Saranno a disposizione materiali per intaglio su linoleum. Le matrici realizzate verranno stampate il giorno seguente su carta riciclata attraverso una pressa pneumatica autocostruita.

Laboratorio a cura di:
[DisAssTro]

DisASStro sono due froci che attraverso l’autoproduzione sottolineano le affinità tra Queer e Punk. Il loro background spazia dal piccolo artigianato alle arti applicate ma i loro punti di forza sono la serigrafia, l’incisione su linoleum e un sex appeal della madonna.

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15:00LAB. CATAPLASMI

Durante il workshop verrà spiegato come come si raccolgono e a cosa servono alcune erbe che poi utillizzeremo per fare due tipologie di cataplasmi. Uno per irritazioni vaginali da fare con piante secche e uno per dolori muscolari o contusioni distorsioni da fare in caso d’emergenza con piante fresche.

Laboratorio a cura di:
[Luca dei Boschi – Yggdrasill]Il Progetto Yggdrasil nasce dall’idea di promuovere la permacultura nel contesto montano tra gli 900 e i 1100 metri. Si svolge nel territorio comunale di Frassinoro nell’appennino modenese. L’amore per le erbe officinali e le tradizioni antiche di medicina popolare ci ha spinto a creare un giardino botanico in cui è racchiusa una parte delle erbe che spontaneamente nascono nell’appennino Tosco-Emiliano. Partendo da questa semplice idea, abbiamo cominciato a lavorare i nostri terreni allo scopo di autoprodurre il nostro sostentamento. Il nostro scopo è quello di collaborare come parte integrante della nostra terra per nutrire e rendere vivo il terreno che ci ospita, lavorando insieme alla natura, piuttosto che contro di essa.

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16:00LAB. CARTA RICICLATA

Carta canta. Laboratorio di autoproduzione della carta, riciclando fogli dalla spazzatura. Il workshop prevede la costruzione dei telai, la preparazione della carta, la colorazione naturale… e il giorno dopo li serigrafiamo!!

Laboratorio a cura di:
[Lara e Kate – Ricette dal Caos]

Ricette dal Caos per LungiDaMe, la fanzine anarchica, aperiodica e accidentalmente punk. Ricette dal Caos è una rubrica dedicata all’autoproduzione e alla creatività. 
Una guida di sopravvivenza urbana al capitalismo e all’industrializzazione, che hanno generato prodotti inutili e dannosi da poter “liberamente” scegliere nelle corsie del supermercato. Ricettario ironico di alternative semplici e naturali, di scambio e controinformazione, per volgersi con il sorriso alla ricerca di una libertà reale attraverso la riappropriazione del tempo e della qualità delle esistenze di tutti i viventi. 

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17:00LAB. SCRITTURA FURIOSA E AUTOPRODUZIONE DI STORIE

Impariamo a raccontarci prima che siano “loro” a farlo per noi. Immaginatevi di voler registrare un disco e dover aspettare che sia una grossa etichetta discografica a occuparsi della produzione, della distribuzione e della promozione. Immaginatevi di voler suonare dal vivo, ma di dovervi per forza relazionare (e scendere a patti) con locali non troppo lungimiranti che cercano il profitto certo e ti chiedono perché dovrebbero far suonare voi, quando la cover band di Bon Jovi gli riempie il locale. Dimenticatevi il punk, i concerti negli spazi autogestiti e i dischi passati di mano in mano nelle distro.

Ecco, al momento – a parte rarissime eccezioni – scrivere e fare letteratura vuol dire più o meno questo. Se è vero che le nostre distro sono piene di opuscoli e saggistica militante, è altresì vero che è più difficile trovare testi di narrativa o poesia. Diffondere questi scritti, per chi ha questa urgenza  – non molto diversa dal voler stare su un palco con uno strumento in mano o registrare la propria musica – vuol dire troppo spesso trasformarsi forzatamente fino a diventare un prodotto vendibile su quel mercato contro cui ci opponiamo. Eppure continua a esistere, più o meno sommerso, un modo nostro di raccontarci che non si limita alla retorica politica o ai titoloni indignati e acchiappa clic della “loro” stampa. Come farlo emergere? Facciamo in modo di armare le parole e che le nostre storie siano libere, furiose e ovunque come ratti infetti. Che peste li colga!

Per chi volesse partecipare al laboratorio consiglio di:

  • inviare un breve racconto (possibilmente con ambientazione punk e/o di lotta) a valeria.disagio@gmail.com
  • lasciare a casa la vergogna, il pudore e l’inedia perché scrivere non è esibirsi, ma darsi.
  • un bel quadernone (quello più trash vince cose).

Laboratorio a cura di:
[Valeria Disagio]

Valeria nasce un lunedì di pioggia del novembre del 1982 a Varese. Diventa “Valeria Disagio” sull’orlo estremo tra l’adolescenza e l’età adulta. Ha esordito giovanissima con il romanzo “Casseur: la lotta, l’ebbrezza e la Città Giardino”. Poi ha perso parecchio tempo nella precarietà del lavoro e nell’inquietudine politica. Ha scritto molti racconti, pamphlet e poesie. Ha gestito un blog – da cui è nato il libro “Discount or die” edito dalla Nottetempo -, ha curato fanzine e cantato in collettivi punk. Ha intenzione di continuare a fare tutto questo.

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18:00LAB. SERIGRAFIA

Durante il laboratorio realizzeremo insieme alcune grafiche e le impressioneremo su dei telai serigrafici. Verrà dimostrata e spiegata la tecnica di incisione. Con i telai realizzati il giorno seguente stamperemo tshirt e shopper.

Laboratorio a cura di:
[PaDiy – DisAssTro – NuclearChaos]

PaDiy è Paola: serigrafa e artista militante, vive e lavora principalmente a Bologna e si occupa di graphic design – illustrazione e autoproduzioni. Insieme a DisASStro e NuclearChaos vi farà entrare nel coloratissimo e appiccicoso mondo della serigrafia.

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20:30CHIUSURA LABORATORI

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DALLE 20:30・Stella Nera

Dalle 20:30 ci spostiamo tutti a Stella Nera in via Folloni 67 a Modena (15 minuti di macchina) per la pizzata cotta in forno a legna e concerto After Work Party D.I.Wild con:

– Medicamentosa
– Ich.Bin.Bob
– So Beast
– Ganf

 PROGRAMMA DOMENICA 9 GIUGNO 2019 

10:00COLAZIONE

Chi arriva per tempo troverà una bella tavola imbandita per fare colazione. Offre VillaPunk!

11:30LAB. BIRRA AUTOPRODOTTA E SOVVERSIVA

Introduzione alla birrificazione casalinga. Durante il workshop faremo una cotta di 20 litri di birra, english pale ale. La stessa birra che verrà spinata durante il D.I.Wild!

Laboratorio a cura di:
[Riccardo – Brew Sov]

Brew Sov è un progetto nato una dozzina di anni fa da un giovane anarcopunk beneventano che voleva autoprodursi anche la birra che beveva, oggi la fermentazione continua fra le mura occupate dello Janara Squat.

13:00 PRANZO 

Pranzo con panini veg con burger di stagione e hot dog veg con patate arrosto a cura del laboratorio di gastronomia vegetale “La zappa e il Mestolo”

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14:00LAB. LINOCUT

Durante il workshop stamperemo su carta riciclata attraverso una pressa pneumatica autocostruita le grafiche realizzate il giorno precedente.

Laboratorio a cura di:
[DisAssTro]

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15:00LAB. ERBE OFFICINALI

Il laboratorio esplorerà i molteplici utilizzi che possiamo fare delle erbe, fiori e piante a nostra disposizione. Dal riconoscimento all’utilizzo delle piante medicinali, si proporrà la produzione di uno sciroppo, di una tintura e di unguenti, attraverso i diversi processi di trasformazione ed esponendo le proprietà coinvolte in ognuno di essi, fino ad arrivare al prodotto finito, tra nozioni di storia e folklore.

Laboratorio a cura di:
[Limbs Disarm]

Laboratorio proposto da Limbs Disarm, collettivo coinvolto da anni in svariati aspetti dell’autoproduzione: dalla coltivazione sinergica e cosmesi naturale, alla stampa serigrafica underground e riproduzioni artistiche di elementi che vanno dal periodo Neolitico all’epoca vichinga, in un vortice di punk, storia e leggende.

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16:30LAB. BUCATO DA CAPO

Laboratorio di autoproduzione di detersivi per lavatrice. Durante il laboratorio verranno realizzati semplici prodotti ecologici, sostitutivi ai prodotti chimici distribuiti su larga scala, per lavare, disinfettare, profumare e ammorbidire il nostro bucato.

Laboratorio a cura di:
[Lara e Kate – Ricette dal Caos]

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17:30LAB. SERIGRAFIA

Saranno presenti due bracci serigrafici autoprodotti dove poter stampare borsette con le grafiche del D.I.Wild. Se vuoi porta una maglia da stampare!

Laboratorio a cura di:
[PaDiy – DisAssTro – NuclearChaos]

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19:00CHIUSURA LABORATORI E MOIJTO PARTY a cura di VillaPunk

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DALLE 20:00PIZZA CON FORNO A LEGNA a cura di VillaPunk

Sforneremo pizze fatte con ingredienti bio, cotte nel forno a legna autocostruito con terra cruda durante il D.I.Wild del 2014.

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EXTRA

LAB DJ SET
Dalle 16:00 entrambi i giorni Lele e Tino ci faranno da sottofondo con il loro djset – Porta i tuoi dischi e impara a mixare!
[SCS Crew]

LAB. FOTOGRAFIA
Entrambi i giorni il Coll. SusyRec. scatterà foto reportage dell’iniziativa.
[SusyRec. Collective]

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>>>>>FAQ<<<<<

Cos’è “D.I.Wild”?
D.I.Wild è un’iniziativa nata spontaneamente. Una voglia di condividere esperienze, tecniche, saperi. E’ una giornata di laboratori-workshop-spiegazioni-dimostrazioni-birrefredde-cibobuono-manisporche-condivisione-pratiche libertarie-libertà-diy.

Quanto costano i workshop? Mi devo iscrivere?

I laboratori sono gratuiti e senza iscrizione. Se vuoi e puoi è gradita una sottoscrizione per le spese dei materiali.

Dov’è VillaPunk? Cos’è VillaPunk?
VillaPunk è una casa di campagna. Non è nè un Centro Sociale nè uno Squat. Ma è un luogo, o meglio, uno spazio dove ci piace sperimentare cose nuove. Dove cerchiamo di mettere in pratica esperienze di autogestione pregresse. VillaPunk sta vicino a CastelfrancoEmilia. Non è questo il mezzo per diffonderne l’indirizzo. Molta gente negli anni è passata di qui e sa come arrivarci, ma nel caso tu venissi per la prima volta, manda un’email o chiama per sapere le indicazioni. Arrivarci è facile!

Come si svolgono questi Laboratori?
I/le ragazz* coinvolt* che seguiranno questi laboratori non sono insegnanti (qualcuno si in realtà). Non aspettarti corsi avanzati con materiali infiniti. Chi seguirà i laboratori metterà a disposizione quello che può per rendere il workshop il più funzionale possibile. Ogni laboratorio avrà un proprio orario (da una a tre ore massimo) per poter permettere a tutti gli interessati di partecipare e sopratutto condividere esperienze e nozioni. Se sei pratico di qualcosa e vuoi proporre “cose tue”, porta materiali/attrezzi e vedrai che ogni laboratorio sarà migliore.

Posso proporre anche io qualcosa? Posso portare mie autoproduzioni da vendere?
Puoi proporre le tue autoproduzioni in uno spirito di collettivismo delle tecniche. Questa iniziativa non è una fiera, nè un mercato. Non vogliamo gente che siede aspettando di vendere “merce”. Quindi porta pure le tue autoproduzioni (anche un tavolino se riesci) e preparati qualcosa che spieghi a tutti quello che fai. Se poi vuoi proporti per un Workshop scrivici e vediamo se riusciamo ad organizzare qualcosa insieme.

Si mangia? Si beve? Si cena? Ci si ubriaca?
I pranzi saranno a cura del laboratorio di gastronomia vegetale “La zappa e il Mestolo”. Il menù sarà sempre vegan e biologico: tramezzini, stuzzichini e dolcetti veg per il sabato e panini veg con burger di stagione e hot dog veg con patate arrosto per la domenica. I prezzi del bar saranno comunque bassi e sono di autofinanziamento per l’iniziativa e, si spera, per iniziative future, quindi il bere non portartelo da casa, ci pensiamo noi! La birra spinata sarà della Brew Sov, birrificio autoprodotto sovversivo.

IL SECOLO BREVE

IL SECOLO BREVE


LA LEGIONE ESTRANEA | Opening Act. Il Secolo Breve, duo anarcho-naif, live @ “I Senza Stato – festival del cantautorato anarchico” del Laboratorio anarchico Perla Nera di Alessandria.

A fine giugno del 2017 c’è stata la IV edizione de I SENZA STATO IV meeting multimediale d’arte e creatività organizzato dal Laboratorio Anarchico Perlanera di Alessandria. E per circa 27 minuti io e Paolo Seitan Grassi aka Satana, abbiamo portato in scena un reading musicato di quella lunga favola punk che è “La legione estranea” pubblicata sull’ultimo numero della fanzine (accidentalmente) punk Lungidame. Niente distorsioni, leve che fanno UYIIIII o il sostegno di quelle anime affini – Kalashnikov Collective nel mio caso e DRUNKARDS nel suo – con cui da anni condividiamo palchi, furgoni, sale prove e cose matte. Roba di chitarra, voce e fifa blu, cuore e ringhio di cagna. Prometto che non saremo scalzi. Questo progetto ha un nome ed è IL SECOLO BREVE.

Qui l’opuscoletto con i testi delle canzoni.

I MORTIFICATORI | AgenziaX

I MORTIFICATORI | AgenziaX

Horror d’amore, arte e cicatrici

Un noir che trita il tritabile e mischia il mischiabile, anche gli opposti più opposti e opponibili. dalla prefazione di Giovanni Arduino

Chi sono i mortificatori? Perché sono così interessati alle forme d’arte più radicali? Partendo dal presupposto che la pazzia è anche un godimento dei sensi, i loro adepti cercano nuove vittime tra i giovani artisti emergenti, i più sensibili alle sirene dei soldi, del successo e dell’egocentrismo, i più golosi di droghe e perversioni. I mortificatori sono consapevoli che dei soggetti così creativi possono andare in pezzi, appena un grammo di caos penetra nelle loro fragilità.
Il confine che divide l’arte dalla morte è troppo vago, chi potrebbe dire dove uno finisce e l’altro inizia. Per scoprirne il segreto si narra che questa setta misteriosa utilizzi la tortura mascherata da body art.
Leggenda metropolitana o realtà? Toccherà a Orso Marcuse, hikikomori appassionato di film horror e piante carnivore, scoprire se sono proprio i mortificatori i mandanti del rapimento dell’amata e inquieta Adele, pony express di professione e mina vagante per vocazione.
Un romanzo che offre le chiavi per capire questi tempi feroci e quali pericoli si nascondono dietro la ricerca forsennata dell’apparire sempre sull’onda degli estremismi mediatici, religiosi o politici, in una società dove di estremo c’è solo la solitudine.

Valeria Disagio (1982) redattrice di fanzine e scatenata cantante di gruppi punk, esordisce giovanissima con il romanzo Casseur. La lotta, l’ebbrezza e la città giardino. Ha gestito un blog da cui è nato il libro Discount or die edito da Nottetempo.

240 pp. • 2019

ISBN 978-88-98922-54-3

Ordinabile tramite sito, in libreria dal 14 febbraio 2019

LA LEGIONE ESTRANEA

LA LEGIONE ESTRANEA

The savage mutilation of the human race is set on course
It is up to us to change that
Protest and survive

«DeeDee, vieni qui, beviamo insieme e ascoltami: ora ti racconto una barzelletta»

«Una barzelletta?»Mi chiedi con quegli occhi bestiali che come spilli inchiodano la tua faccia da bambina al muro di cemento alle tue spalle.

«Sì, una barzelletta. La barzelletta dello sciamano e della stirpe dei boschi» Ti rispondo io, in questo dialogo che non è mai avvenuto perché ci sono alcune cose che non sono mai riuscita a dirti.

In un paese lontano-lontano vi era una profondissima gola che era stata scavata da un piccolo torrente. Quel torrente doveva essere stato un fiume rigoglioso di pesci e libellule un tempo. Persino i cervi, le volpi e i corvi andavano a bere quelle sue acque insorgenti, ma poi erano arrivati i Primi Uomini e lì si erano insediati perché il fiume e i boschi davano loro di che mangiare e scaldarsi in inverno. Ad Est e Ovest del fiume c’erano due colline: i Primi Uomini decisero di insediarsi su quella occidentale e di mantenere selvaggia l’altra, per avere sempre legna da ardere e bestie da ammazzare per le loro carni e le loro pelli. Ma è inutile che ti racconti dell’avidità dell’uomo e della violenza dello sviluppo senza progresso. Superfluo che ti racconti che quel fiume sia diventato un torrente e che ne’ alci, lupi o linci popolavano più quei boschi all’epoca di questa barzelletta, perché in quel tempo sulla collina d’Occidente giaceva ossuta e vacua la carcassa di quella che un tempo era la città dei Primi Uomini. Dall’altra parte, invece, un bosco che a fatica cercava di riconquistare il suo regno.

In verità la città non era disabitata, sebbene lo sembrasse, poiché sulla cima si diceva abitasse un vecchio saggio di mille e passa anni. Ne aveva visti di uomini e donne arrivare sulla collina Est, tagliare gli alberi per erigere delle capanne e sognare il risorgimento di una nuova umanità nella valle. Eppure pescavano dal fiume ormai radioattivo solo alghe e mitili deformi, il freddo li faceva ammalare e far diventare di cattivo umore. Chi sopravviveva all’inverno non osava sfidarne ancora la misericordia e abbandonava quelle terre. La collina Ovest e la derelitta città dei Primi Uomini? Troppo ostile e spettrale per pensare di stabilirvici. Le facciate delle case mostravano come in un ringhio le putrelle arrugginite del cemento armato. Tutto ciò che poteva essere bruciato era stato arso e continuava a crepitare in un grande braciere al centro del rifugio dell’antico saggio: una vecchia cisterna sotterranea di quello che doveva essere stato il centro di stoccaggio di combustibili fossili della città. Dal suo tetto tormentato ne usciva un fumo denso e nero che faceva lacrimare e tossire ad avvicinarsi troppo.

Un giorno come tanti arrivò l’ennesima stirpe di disperati, l’ultima di una lunghissima sequenza di gente scappata dalla metropoli sotto assedio, che non aveva nulla da perdere o che aveva perso tutto. Sapevano di quanto potesse essere spietato lì l’inverno; così decisero di fare una bella scorta di legno. L’avrebbero fatta ardere nel grosso focolare al centro del capanno di Eternit e vecchi cartelloni pubblicitari, che avevano raccolto dal letto del fiume ormai quasi prosciugato.

Quel fuoco non passò inosservato.

Iniziarono gli uomini in buona salute, i più forti. Colpo di accetta dopo colpo di accetta ne accatastarono così tanta che non potevano più impilare un tronco sull’altro senza farli rotolare rovinosamente a terra. Ma temevano che non sarebbe stata abbastanza. Bisognava prepararsi al peggio e così decisero di consultare lo sciamano dall’altra parte della valle. Lui è un saggio e ha superato mille inverni, pensavano. Potrà e vorrà di certo aiutarci. E così quello che veniva definito da tutti il capo (per anzianità, forza e solidità dei suoi legami) percorse il colle fino al torrente, lo guadò e ne uscì ricoperto da una grigia melma maleodorante. Si arrampicò fino alla città e proseguì verso l’origine di quel fumo nero e tossico. Scoprì che lo sciamano, il vecchio saggio, non era solo. Altri uomini e donne sedevano attorno ad un fuoco. L’uomo venne accolto con una certa diffidenza. Sebbene il loro tempio cadesse a pezzi, sembravano tutti impegnati e concentrati in qualcosa di severo e importante che a quanto pare, doveva essere più urgente di aggiustare ciò che era rotto… come quelle quattro profondissime crepe che attraversavano le colonne portanti. Quegli uomini e quelle donne non alzavano la testa dalle viti, dai bulloni, dagli stracci e i chiodi arrugginiti con cui stavano costruendo armi e scudi per difendersi da nemici i cui sguardi nessun occhio aveva mai incrociato.

Il vecchio saggio acconsentì a conceder loro udienza, offrendogli un bicchiere di liquore distillato dalla cenere e l’inchiostro.

Sono qui, vecchio saggio che abiti la valle da oltre mille anni, per sapere se sopravviverò a questo inverno. Gli chiese con grande timore l’uomo del bosco.

L’inverno sarà rigido e lungo, forestiero. E i nostri nemici sono alle porte. Rispose e lo congedò senza permettergli di controbattere o fare altre domande. L’assemblea dei saggi ha parlato, vai ora… ruggì.

L’uomo del bosco tornò sui suoi passi e crollò esausto nella sua branda col terrore di perire per il freddo che di certo sarebbe arrivato. Forse quella sarebbe stata la sua ultima notte nel regno dei viventi. Il freddo o la violenza dei bruti avrebbe messo fine alla sua esistenza? Chi erano questi nemici? Se per i discendenti dei Primi Uomini era più importante assemblare armi anziché coltivare la terra o aggiustare il tempio, dovevano essere temibilissimi. Pensò ai suoi simili, alla sua famiglia che lo aveva seguito e che si fidava ciecamente di lui, si chiese come confessargli che forse non avrebbero superato l’inverno, ma fu ancora la luce dell’autunno a svegliarlo il giorno dopo. Un autunno caldo a dir la verità, come non se ne ricordava da molto tempo… ma lo sciamano, lo sciamano aveva detto che…

E così convocò tutta la sua stirpe attorno al focolare. Parlò del freddo e dei nemici. Più dei bruti che del freddo, poiché l’ostilità della Natura e la collera della Dea era qualcosa che faceva tremare fino al midollo spinale, mentre questi nemici… i nemici… possono essere respinti costruendo muri e fabbricando armi, per esempio, e così ordinò loro di abbattere ancora più alberi e di costruire delle barricate. E nessuno obiettò perché se persino i più forti e impavidi della stirpe temevano questi invasori… beh, sì, dovevano essere davvero davvero terribili. I forti dopotutto avevano parlato e chi erano loro per poter mettere in dubbio ciò che proferivano?

Passarono giorni e giorni in cui tutta la stirpe, con abnegazione ed obbedienza, abbandonò ogni attività che non fosse necessaria alla difesa di quel nulla che avevano e chiamavano vita. Nessuno arava i campi o faceva conserve con quei frutti che cadevano marci sulla terra. Nessuno pregava o intonava canzoni per le persone amate. Tutti erano impegnati nella costruzione delle barricate e nell’abbattimento degli alberi.

No, non vogliamo morire qui in questa valle. E forse tutto questo non basta… Torneremo dal saggio. Dobbiamo sapere se vivremo abbastanza da rivedere la primavera. Dicevano.

E così affrontarono quel viaggio che già era stato percorso solo poco tempo prima. Arrivarono nel tempio dei saggi della collina ad Occidente e presto si accorsero che la diffidenza era diventata ostilità, ciononostante ancora una volta il vecchio li invitò a sedersi attorno al fuoco. Questo volta però, senza offrir loro il liquore di cenere e inchiostro. Pareva stremato da notti insonni, dai succhi gastrici e le ulcere che lo affamavano e lo pungolavano.

Siamo qui per la medesima ragione che ci ha spinto a disturbarvi in passato. Vogliamo sapere se sopravviveremo a questo inverno, nonostante il freddo e i nemici. Chiese il figlio del capo stirpe, intanto che gli altri della delegazione, ad occhi bassi, tremavano al pensiero della risposta del vegliardo.

Sarà un inverno estremamente duro. Sarà un inverno tanto lungo quanto gelido. E i nemici… gli invasori sono pronti a sferrare il loro terribile attacco ad istanti. Rispose lo sciamano agli uomini che si chiusero nelle spalle come le dure e spinose foglie di un cardo selvatico attorno al suo frutto. Durante il viaggio di ritorno non parlarono neppure, ma appena arrivati nelle loro case fatte di legna e relitti trovati nel letto del fiume, decisero di scrivere anche ai villaggi vicini per avvisarli del pericolo imminente. Ma che l’inverno fosse alle porte era scontato, pensarono, non c’è bisogno di dire agli uomini e alle donne che ogni autunno è seguito dall’inverno, quando ci sono dei nemici pronti a portarci via tutto ciò in cui crediamo! Il grosso problema erano gli invasori… questi bruti da cui era necessario difendersi ad ogni costo. Da soli non avrebbero mai potuto farcela. Era urgente allertare tutte le valli e tutti i villaggi e forse persino chi era rimasto nella metropoli. E poi abbattere ancora alberi e alzare altre barricate. E così alcuni degli uomini – gli eletti – armati di motosega, buttarono giù tanti alberi quante dita avevano complessivamente nelle mani e nei piedi. Cinquantanove, fra pioppi e conifere, vennero abbattuti. Cinquantanove e non sessanta, poiché quello più giovane e mingherlino della stirpe aveva perso l’indice l’autunno precedente tra la sua motosega e il tronco di una quercia.

La sera, con il vasto terreno borchiato dai moncherini degli alberi e le barricate costruite ammassando così tanta spazzatura da oscurare la luna, si sentivano già più sereni e decisero di ubriacarsi e brindare alla loro unione… quegli uomini forti, coraggiosi, in mezzo al dominio della selvatichezza e delle bestie, che insieme erano pronti a dominare la Dea e a vivere fino alla primavera. Eroi che avevano in mano la vita e la sopravvivenza di donne, vecchi e infermi! Eroi pronti a combattere contro nemici tanto terribili che neanche la fantasia sarebbe stata in grado di partorire. Si ubriacarono e festeggiarono, ma tutti gli strumenti musicali erano stati distrutti e le poesie dimenticate, perché nessuno le recitava da troppo tempo. E senza musica e senza poesia, si arrangiarono come potevano: picchiarono i loro bastoni contro le lamiere e urlavano cori semplici e ripetitivi. Sbam sbam sbam… e il più anziano partiva con una filastrocca inquieta a deridere i nemici e il freddo inverno con volgarità e violenza. Sbam sbam sbam… e i più giovani e meno coraggiosi che lo seguivano e così le donne e i bambini che trovavano buffa la rima baciata! Sbam sbam sbam…. E quel rumore senza poesia esplose nell’eco della gola, giungendo persino alle orecchie dei vecchi nella città ad Ovest del torrente inquinato.

Ma poi arrivò la notte e le temperature si abbassarono e il buio faceva paura.

Dobbiamo tornare da loro. Dissero, ma dovettero constatare che era rischioso partire e lasciare le donne sole con gli invasori, che senza dubbio, si nascondevano dietro alle vette più prossime al loro villaggio. E come fare?

Andremo noi, dissero le più giovani della stirpe, annoiate da quei cori ed escluse dalle decisioni. Prima dello stato di emergenza perenne erano impegnate a coltivare la terra, nella cura della comunità e nei rituali propiziatori. Svolgevano le loro mansioni come investite di una missione e lo facevano cantando versi e poesie tramandate da millenni, ma contaminate dal loro essere, dal loro vivere, dal loro sentire… Nulla a che vedere con quei rozzi cori oggettivi e privi di personalità che da ore e ore ammorbavano la valle. I versi delle donne erano i canti delle lupe e delle bestie della foresta. I canti di tutte le donne che avevano vissuto quei boschi e quelle terre. Erano i medesimi canti… eppure allo stesso tempo diversi, perché non potevano più piangere come le mondine del secolo passato. I fiumi erano inquinati e nessuno più affondava le gambe nel fango per coltivare il riso. Quello non era più il loro mondo, ma della stessa natura erano le ingiustizie e la voglia di essere felici e quindi, quelle poesie, andavano fatte proprie. Perché i versi del passato, se non vengono incastonati dalle emozioni del presente, restano vane formule vomitate da preti e soldati. Tristi figuri che trovano piacere nel sentire la propria voce amplificata in una gelida eco, del cui senso solo pochi eletti sono davvero a conoscenza. Sbam sbam sbam….

A parlare fu una ragazza di nome Dorothy Gale e le sue parole vennero accolte da un silenzio sbigottito. Quel silenzio si trasformò in una volgare risata che coprì i brontolii degli stomaci svuotati dall’assenza di cibo. Eppure i frutti marcivano sulla terra e le piante nei campi soffocavano tra le erbacce.

Non avete molta scelta: o lasciate la difesa del villaggio e l’approvvigionamento della legna per l’inverno a noi o ci lasciate andare a parlare coi saggi della collina Ovest. Rilanciò la ragazza con la voce tremante di collera e orgoglio. Ed aveva ragione… con un rapido gioco di sguardi i più forti del clan si accordarono: no, non potevano di certo lasciare il futuro in mano a quelle braccia deboli, quelle teste sognanti e quei cuori acerbi – erano così emotive quelle ragazze… così maledettamente emotive e sensibili!

E così partirono. Il viaggio fu più difficoltoso delle volte precedenti. Il vento tagliava la faccia e le rocce erano scivolose e l’acqua del torrente sembrava volerle pugnalare come bambole woodoo, ma non volevano fermarsi. Non si sarebbero fermate. Arrivarono al tempio e trovarono la porta sbarrata. Bussarono con tutta la loro forza, ma nessuno era disposto a farle entrare. Solo dopo che si inginocchiarono tutte quante ad implorare piangendo per essere ricevute, si affacciò il vecchio saggio. Su quel volto che loro non conoscevano riconobbero però, come incisi nei muscoli, i segni del più cieco terrore.

Andate via. Disse. Andate via. Urlò. Sta arrivando. Sta arrivando l’inverno più tragico della storia della nostra umanità, sbraitò sputando un dente e parecchia saliva. I nemici… i nemici sono tra noi e distruggono le barricate nella notte e sabotano le nostre armi e ci succhiano il sangue quando dormiamo! E forse anche voi… forse siete voi i selvaggi! Urlò con una voce tanto stridula, da far vibrare i vetri rotti attaccati come denti marci alle finestre del tempio.

Il cuore delle donne della collina orientale si ghiacciò all’istante. Non più sangue pulsante, non più calore. Quella benzina che incendia le emozioni era svanita, lasciando il posto soltanto alla paura, al sospetto e al più feroce spirito di sopravvivenza. Si voltarono di scatto come colpite da una scossa elettrica, mosse da un’unica urgenza: salvare la propria pelle a qualunque costo. Cominciarono a guardarsi l’un l’altra con timore e accusa. Dietro a quegli occhi, come con uno scanner di ultima generazione innestato nel cranio, scorrevano tutte le informazioni inerenti all’operato del soggetto in osservazione. Un registro virtuale che scandagliava i meandri più intimi e oscuri. Ogni buco, ogni ombra nel loro essere ed agire poteva essere una prova del loro tradimento dopotutto.

Gli occhi di Dorothy Gale rimbalzavano come una pallina di un flipper da una all’altra di quelle che, fino a poco tempo prima, erano le sue amiche più care. No, non poteva accettare che una di loro potesse essere una minaccia per la sopravvivenza sua e della stirpe della collina orientale. Eppure il saggio aveva detto… eppure i forti del clan avevano detto… eppure…

Una cornacchia malconcia, noncurante degli oscuri pensieri di Dorothy Gale e delle sue amiche che la profezia voleva nemiche, tagliò in due il cielo e gracchiando magnetizzò il suo sguardo verso l’orizzonte e poi sul tempio: faceva paura. No, non era paura… era schifo e pena. Perché lo avevano lasciato cadere a pezzi? Perché non avevano fatto nulla per aggiustare quelle quattro profondissime crepe che attraversavano le colonne portanti? Così dava l’impressione di poter essere buttato giù senza sforzo alcuno… anche da… anche da una scorreggia!

Le scappò inaspettatamente da ridere. Erano così tanti giorni che non rideva, quasi fosse una colpa sorridere coi nemici alle porte e la minaccia dell’inverno che pendeva sulle loro nuche.

Il suo sguardo si soffermò sulla porta crollata del tempio. Al suo posto c’era un vecchio cartellone pubblicitario di un film antico… risaliva ad oltre cent’anni prima. Quel film era Il Mago di Oz con Judy Garland e lo aveva visto quando ancora abitava nella metropoli e l’ultimo cinema aperto, lo aveva proiettato in occasione del centenario dalla sua uscita. Uno dei rari momenti di cultura e socialità nonostante l’assedio dell’esercito di difesa. Se lo ricordava. Lo aveva visto due volte di fila, perché la protagonista si chiamava proprio come lei e poiché, ahinòi, di film nuovi non ne uscivano da diverse decadi. Si ricordò all’improvviso la scena in cui Totò, il cagnolino della sua omonima, smaschera la messinscena del temibile Mago di Oz! Truffatore e bugiardo il cui potere si sorreggeva soltanto su trucchi, illusioni e paura. Senza pensarci troppo urlò verso la finestra da cui era spuntato il saggio.

Come fa? Come fa a sapere queste cose? Urlò con una tale forza che non credeva di avere.

Il saggio si scoprì sorpreso nel constatare che, per la prima volta dopo secoli, qualcuno – una ragazzetta per giunta – osava mettere in dubbio le sue verità. Decise di affacciarsi e le rispose.

Abito questa valle da molto tempo prima che i tuoi nonni nascessero ragazzina e so come gira il mondo. Dall’alto della torre del tempio, posso scorgere le vette di tutte le colline e vedo tutti i villaggi che popolano questa gola. Vedo quello che fanno, vedo quanti alberi tagliano e quanto sono alte le loro barricate e capisco quanta paura hanno per l’intonazione dei loro canti. Io ho osservato tutti loro e comprendo l’entità della minaccia che pende sulle nostre teste.

Disse.

«Ma è finita?»

Mi chiedi e giustamente protesti: «ma a me non sembra una barzelletta e non mi fa neanche ridere porcodio»

No, DeeDee, non fa ridere però ti giuro che era una barzelletta. Me la raccontava sempre mio padre e dovrebbe far ridere, come fa ridere un calzino bucato ai piedi di un imperatore o vedere un vescovo ricoperto di porpora e oro inciampare nella sua sottana. Perché dovrebbe far ridere lo smascherare e ridicolizzare il potere di quel saggio che poi, tanto saggio non era. Una pernacchia piena di sputi alla faccia di chi vuole imporre la propria verità, sacrificando la realtà se questa risulta incomprensibile, sgradevole o faticosa. Una barzelletta rivoluzionaria DeeDee, che mi è venuta in mente spesso da quando mi hai raccontato cosa ti hanno fatto. Dopo lo schifo, il dolore, la rabbia e l’odio… mi è tornata in mente la barzelletta dello sciamano e della stirpe del bosco!

Ma da quando mi hai raccontato la tua storia, DeeDee, non riuscivo a gioire per lo smascheramento del falso profeta o l’irrisione del potere, perché vedevo solo la cieca obbedienza e la superstizione del boscaiolo e della sua stirpe. E stavo male perché come nella barzelletta attorno a me vedevo così tanta paura e l’assenza assoluta di umanità e coraggio. Vedevo che l’odio e il terrore atavico verso l’altro, da troppo tempo, erano diventati collante sociale anche da questa parte della barricata… un collante chimico e infiammabile, creato e adoperato per infuocare il braciere di chi detiene il potere. Eppure “noi” avremmo dovuto essere diversi da “loro”…

Non migliori o peggiori, perché questo tipo di valutazione implicherebbe una norma a cui adeguarsi o un dogma a cui obbedire… uno standard che divide i buoni dai cattivi, i santi dai peccatori. E “noi” invece siamo quello che siamo – o almeno credevo – perché ci fanno ridere le barzellette in cui gli dei cadono e i re muoiono. Eppure pare che in quest’epoca cruda e stolta, siamo riusciti a replicare le stesse logiche di quel potere infiammato da paure mitologiche, ignoranza colpevole e bisogno di eroismo. Leggi di accettabilità sociale da cui credevamo di esserci liberati, rintanandoci in queste cattedrali industriali cadenti e in queste strade con le vetrine spaccate. Bestie inferocite e folli di timore e paranoia, che non sanno sopravvivere senza la normalizzazione di un branco.

Quello che ti hanno fatto, DeeDee, ci ha lacerato testa, cuore, pancia e figa… quattro crepe forse irreparabili. Ci ha tolto il sonno, la voglia di sorridere e la gioia dello scopare. Come è stato possibile tutto ciò? Al di là del male e della miseria dell’anima, la verità è che nessuno di noi aveva delle risposte. E non ce le abbiamo nemmeno ora…

Nessuno custodisce il senso e la ragione che spieghino il vuoto marcescente che fingiamo di non vedere. Nessuno di noi può schiudere le labbra per pronunciare quelle parole che rivelano il passato e guidano verso il futuro.

Un’assoluzione, DeeDee… quello che cerchiamo è un’assoluzione per tutti i nostri errori e le nostre mancanze.

Alcuni di noi sono rimasti paralizzati, altri si sono fidati delle parole di pigri sciamani che hanno reso nobile e moralmente degno il voltarsi dall’altra parte e far finta di niente. E poi c’è chi ha deciso che in assenza del perdono, nell’impossibilità di poter far i conti con loro stessi, forse era meglio bruciare la vecchia. Ti hanno fatto diventare una nemica da annientare, per liberarsi dal peso di trovare quelle risposte. E così stanno facendo con noi, che abbiamo osato urlare quelle domande con l’urgenza dei nostri cuori di cagne.

Ma lo sai bene quello che ti hanno fatto e non ha senso ora continuare a ricordartelo, perché ci sono cose che non ti ho mai detto. Non ti ho mai detto, per esempio, di quanto tu ci stia facendo sentire forti. Di quanto tu ci stia facendo sentire parte di un unico e complesso corpo composto da organi vivi e essenziali. Di quanto tu ci abbia ricordato chi siamo e tutto ciò che non vogliamo essere. Tu, DeeDee, purtroppo non puoi vedere il bello che ti circonda e che è sbocciato dove hai versato le lacrime e posato i tuoi piedi. Sono sicura che un giorno i tuoi occhi incontreranno la bellezza e la poesia. Te lo prometto. Nel frattempo però, ti chiedo di portare ancora un po’ di pazienza, perché ti devo raccontare come è andata a finire quella storia strampalata: la barzelletta della valle del torrente inquinato.

Quegli alberi che abbattiamo, cadono per le tue parole. E quelle che vedi dalla tua torre, sono le barricate che abbiamo alzato per le tue profezie. Le armi che abbiamo in pugno, vengono fabbricate dalla perenne minaccia che ci racconti. E la nostra fame, maledetto vecchio – digrignò Dorothy Gale – è il frutto corrotto dei campi che non coltiviamo, così come l’aridità dei nostri cuori è figlia delle poesie che abbiamo dimenticato, per combattere una guerra che tu ti sei inventato! Che tu sia maledetto, tu… che sei vecchio senza cuore ne’ saggezza!

E dicendo questo, prese per mano le sue amiche e insieme fecero ritorno al villaggio della stirpe.

Guardarono con occhi nuovi, i resti del tempio e della città abbandonata, lasciata alla mercé della minaccia perenne. Stronzi, pensarono. Non c’è spazio per la bellezza in una società dominata dalla paura – si dissero senza bisogno di parlare – e non c’è azione, ma solo la difesa di uno status quo, messo in discussione dall’evidenza delle nostre cadute. C’è soltanto l’immobilità dei morti.

Siamo cadute e siamo precipitati, Deedee, senza avere il coraggio di rialzarci. Perché non sappiamo essere liberi. Non ci hanno mai abituato ad esserlo. E la leggi, i dogmi e le norme che abbiamo riprodotto nel nostro piccolo, hanno lo stesso tono di voce dei preti che ci facevano catechismo, dei genitori che volevano un futuro fatto di certezze e di autorità spaventate dalla nostra voglia di sognare.

Dorothy Gale camminava insieme alle sue amiche e si accorse che tra la neve sporca di fango, sbucava un piccolo fiore che sembrava un fantasma. I vecchi della stirpe lo chiamavano il cadavere delle nevi. Ed era il fiore che nasceva prima di tutti gli altri, coi primi soli tiepidi della primavera. L’inverno dunque era già passato? La primavera avrebbe presto destato speranze e germogli, eppure la sua stirpe ancora abbatteva alberi per prepararsi all’inevitabile sfida del gelo. Ancora viveva con il terrore di non sopravvivere! Lo colse e pensò che lo avrebbe portato agli uomini del villaggio. Guardate – avrebbe detto con gli occhi lucidi di amore e gioia violenta – guardate: l’inverno è alle spalle e noi siamo vivi.

E questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà.

LE VOSTRE LETTERE | K.Coll + Radio Onda Rossa

LE VOSTRE LETTERE | K.Coll + Radio Onda Rossa

[articolo originale qui]
Le vostre lettere su Radio Ondarossa
[Sarta] È da qualche tempo che, complici Valeria e il losco figuro romano che corrisponde al nome di Fantasma, abbiamo lanciato una simpatica iniziativa che allieterà (?) le vostre/nostre esistenze. Si tratta de “Le vostre lettere”, una specie di rubrica ospitata all’interno di DIY Invasion sulle frequenze di Radio Onda Rossa, la storica radio romana nell’etere dal 1977. In cosa consiste? Vi chiediamo in pratica di inviarci dei racconti/poesie/storie scritte di qualsiasi genere o ambientazione, purché brevi: ce li ciuccieremo per benino risputandoli fuori sotto forma di onde sonore. Sissì: con grande dedizione verranno recitati dalla prode Valeria e musicati dal vostro amato/odiato collettivo Kalashnikov, assumendo forme e significati inediti, sorprendenti ed imprevedibili. Non chiedetevi il perché di tutto questo, piuttosto – presto, compagne e compagni, non esitate! – inviateci i vostri racconti! Non assicuriamo ovviamente di recitarli e musicarli tutti ma, insomma, faremo il possibile.

L’iniziativa è già avviata non sappiamo quali pieghe prenderà: una prima tranche di racconti ha già subito la metamorfosi da pagina scritta a operetta sonora, tant’è che il buon Fantasma ha ospitato a turno uno di noi in radio, tramite collegamento telefonico, in ben tre puntate di DIY Invasion per presentare i primi altrettanti racconti. Ne sono venute fuori delle simpatiche chiacchierate, più o meno interessanti, più o meno logorroiche, più o meno imbarazzate, che potete ascoltare direttamente sul sito della radio. Noi, più sinteticamente, vi mettiamo qui sotto i racconti che via via componiamo, commentati e pronti per l’ascolto: fatene saggio uso!


“Le vostre lettere”

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Il primo racconto è “l’episodio pilota”, il numero zero, la genesi di tutto: “Le vostre lettere” è l’annuncio della “chiamata alle armi” rivolto a voi là fuori che – lo sappiamo! – avete tanti racconti scritti nel cassetto ma che, per vari motivi, non li avete ancora fatti leggere a nessuno. Il primo racconto è “l’episodio pilota”, il numero zero, la genesi di tutto: “Le vostre lettere” è l’annuncio della “chiamata alle armi” rivolto a voi là fuori che – lo sappiamo! – avete tanti racconti scritti nel cassetto ma che, per vari motivi, non li avete ancora fatti leggere a nessuno.


Ascolta la puntata di DIY Invasion su Radio Onda Rossa (ospite Valeria Disagio)


“Milano antartica”

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Il secondo racconto è il breve diario di una partigiana della Milano antartica post-nucleare. Tra riflessioni su uomini e donne, femminismo, guerriglia, si parla anche della base missilistica ai Giardini pubblici Indro Montanelli. Ascolta la puntata di DIY Invasion su Radio Onda Rossa (ospite Stiopa)


“Non credo – bozza di una sceneggiatura per un film di guerra (senza la guerra)”

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Questo racconto, già inserito nel nostro 10” split “Come il soffitto di una chiesa bombardata” con gli amici Contrasto, è l’allucinazione da trincea di un soldato senza nome. La guerra di ogni giorno trasfigurata come se fosse la sceneggiatura surreale di film privo di epica ed eroi, dove il nemico/protagonista è presente ovunque, ma non si vede mai.


Ascolta la puntata di DIY Invasion su Radio Onda Rossa (ospite Sarta)

“Marchionne deve morire: la rivoluzione dei 10.000 gatti kamikaze che assomigliano ad Hitler”

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Qui invece siamo dalle parti di Philip K. Dick: un buffo racconto, divertente e inquietante allo stesso tempo, dove i piani della realtàsi moltiplicano, dove pazzia, mutamenti della personalità e complotti la fanno da padrone. Protagonisti una gattara, una veterinaria svenevole, un gatto dal nome altisonate e un segreto inconfessabile.


Ascolta la puntata di DIY Invasion su Radio Onda Rossa (ospite Valeria)

“Reset – Favola animalista”

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Ed infine, un racconto sulla fine della supremazia umana: cosa accadrebbe agli animali sulla terra se tutti gli uomini, d’un tratto, scomparissero? La storia incrociata di un dio distratto, una mucca, il cane Focaccina e la gatta Yumi. 


Ascolta la puntata di DIY Invasion su Radio Onda Rossa (ospite Valeria)