Per una mela

Per una mela

Ho visto due uomini sconosciuti lottare per una mela. Ma forse era un principio. Poiché la mela è finita per terra a rotolare sul cemento umido del mercato coperto di La Spezia.

Il ladro prendeva a sberle il derubato. Il derubato colpiva con un ombrello il ladro. Eppure quella mela restava lì, per terra, tra le pozzanghere che brillavano di gasolio e piscio di ubriachi. Anche quando sono arrivate le guardie e il ladro di mele è scappato, correndo, inseguito dalla volante.

E la gente che guardava l’uomo braccato, aggrappandosi a quei cocktail troppo viscidi tra le mani, inalando e sbuffando vapore al gusto di cannella e bourbon sintetizzato, sarebbe stata capace di indovinare, immaginare che in fondo era stata rubata (e scagliata sul cemento) una mela rosa? O forse era un principio.

I mortificatori – Proposta per una serie

I mortificatori – Proposta per una serie

“I Mortificatori: horror d’amore, arte e cicatrici” è un thriller dalle tinte piuttosto violente ed orrorifiche, ma divertente. Ambientato in una piccola città di provincia, tra artisti, artistoidi, punx, sociopatici e leggende metropolitane che ruotano attorno a una setta che si narra rapisca artisti talentuosi distrutti dall’egocentrismo, dalla depressione o dagli eccessi e ne simulino la morte – a 27 anni – , per poi rieducarli a furia di torture, supplizi e schiaffoni. Leggenda metropolitana o realtà?

Toccherà ad Orso Marcuse, hikikomori appassionato di film horror e piante carnivore, scoprire se sono proprio i mortificatori i mandanti del rapimento dell’amata e inquieta Adele, pony express di professione e mina vagante per vocazione.

Presentazione del soggetto

IL GRANDE ROGO DEL ’25 – Sinossi

IL GRANDE ROGO DEL ’25 – Sinossi

Davvero ho scritto un altro romanzo? Sì, mannaggia e – guarda un po’ – sto cercando una casa editrice che voglia pubblicarlo.

Keywords: cyberpunk, sci-fi, distopia, punk, marketing, multinazionali, guerra civile, dominio, punx, ex blocco sovietico, camperismo, galline e orsi, digiuno intermittente, comunità elettronica, post-apocalisse, carcere, il Mago di Oz, tour, musica, Franti, il protocollo D.E.A.T.H., Dead Kennedys, Brave New World, Aldous Huxley, Woland, Pornoriviste, Wretched, Bikini Kill, This machine kills fascists, Wendy O’ Williams, Karl Popper, Kafka (la band HC), analisi dei sentimenti, il diavolo di Bulgakov, metriche di vanità, Baltika, Pussyriot, Misfits, Egor Letov, Graždanskaja oborona, Polizia, Doom, Via Gola, Negazione, Nerorgasmo, Zygmunt Bauman, Finkbrau, Drunkards, Crass, Discharge, Butyrka, carcere in fiamme, rivolta, Kalashnikov Collective.

Storia e fastidio: il G8 di Genova come la vodka al Melone.

Storia e fastidio: il G8 di Genova come la vodka al Melone.

Disegnino rubato da Google di Zerocalcare

Credo sia importante – lo è per me – rispettare questo rituale legato alla testimonianza. Perché mio padre me lo ricorda ogni anno. Oggi come allora è il suo compleanno e nel 2001 aveva chiesto ad una piccola Disagio di diciotto anni incazzata coi potenti della Terra, di non andare a Genova. Di farglielo come regalo. Ovviamente non lo ascoltai e il resto è storia.

Storia e fastidio nel vedere che a distanza di vent’anni persino i tiggì delle reti più paracule parlino con indignazione delle violenze delle Forze Armate, col musetto triste e che vergogna, buuuu, per le finte molotov piazzate per giustificare un massacro. Che schifo, signora mia! Che non accada mai più, mi raccomando!

Un fastidio paragonabile a quello dei lacrimogeni che abbiamo respirato e che mi hanno lasciato in dono un eritema che ricompare ogni volta che prendo il sole. Eppure sono stata così fortunata e non smetto mai di ripeterlo, sono stata fortunata, perché in quella scuola non ci abbiamo dormito.

Ma parlavo dell’eritema… di quell’eritema che da vent’anni mi viene se prendo il sole, ma sono fortunata – molto fortunata – perché è una fortuna che io odi il caldo, l’estate, la sabbia e la salsedine. le infradito e l’odore delle creme solari e odio il mare e odio Genova.

Le sue strade di asfalto che mi hanno massacrato i micropiedi, stretti – ovviamente – nei miei anfibi vecchia scuola numero 36 (con la punta di acciaio e il carrarmato rigido) durante quelle ore, ore e ore, di fuga interminabile sotto quel sole di Luglio. Ma siamo state fortunate, continuo a ripeterlo, siamo state davvero fortunate. Quella fortuna tipica degli ingenui che credevano davvero di poter cambiare le cose prima che fosse troppo tardi.

Fresche di maturità e allo sbaraglio tra le strade di Genova coi nostri zainetti senza limoni, maschere o DPI improvvisati, perché credevano in determinate robe: alcune di quelle cose in cui credevamo si sono dimostrate reali e altre, invece, delle giga-stronzate.

Tra quelle vere ci metto quella timida idea che, se le cose non fossero cambiate subito, per la nostra civiltà si sarebbe messa maluccio su tematiche dell’ordine di – come lo direbbero quei Tiggì di cui sopra col musetto allarmato, però – EMERGENZA TERRORISMO, EMERGENZA CLIMATICA, EMERGENZA MIGRANTI, EMERGENZA ECONOMICO-SANITARIA, EMERGENZA INTERSTELLARE, EMERGENZA ALIMENTARE, EMERGENZA CARTA IGIENICA, EMERGENZA WI-FI, EMERGENZA NON SI TROVANO PIÙ CAMERIERI, EMERGENZA CALDO, EMERGENZA LAVORO, EMERGENZA FREDDO, EMERGENZA TOMBINI, EMERGENZA SPAZZATURA, EMERGENZA RAZZISMO, EMERGENZA MORTI TRA I POMODORI, EMERGENZA MILLENIAL, EMERGENZA DELLA PICCOLA IMPRENDITORIA, EMERGENZA DELLA LOGISTICA… che noi, ecco, molto umilmente additavamo come conseguenze di una globalizzazione portata avanti secondo le logiche (sebbene ci sia ben poco di logico) del capitalismo.

C’è stato un momento, quel momento, in cui davvero si poteva evitare che qualsiasi merda di fenomeno diventasse un’EMERGENZA che richiede misure rigide, tempestive e spesso sbagliate e un cicinin liberticide. Chi mi restituisce la libertà di pulirmi le orecchie coi Cotton Fiok e bere un cocktail con una cannuccia, per esempio? Chi?!? Però in compenso possa mangiami un avocado intanto che un caporale ammazza di lavoro un migrante che raccoglie pomodori a qualche centinaio di chilometri da me. Vuoi mettere?

Tra le giga-stronzate a cui credevamo ci metto… c’è bisogno di dirlo? Mannaggia, mannaggia, mannaggia! Andavamo in giro facendo il mantello con la bandiera della pace, merda! Avevamo diciotto anni… Una non si ripiglia più da una così oscena e volgare manifestazione del potere. Come quando ti pigli in giovane età una sbronza di vodka al melone e non puoi più sentirne manco l’odore per il resto della tua vita. Ecco, a me il G8 di Genova e la fine del Movimento No Global mi ha lasciato quella nausea tipica delle brutte sbronze e, da allora, mi basta davvero poco per aver voglia di vomitare. Lo sento subito il puzzo che emana il potere e le sue dinamiche schifose e corrotte anche lì, dove meno te lo aspetti che il potere possa farsi abusante. E per questa cosa non c’è cura. Non è che basta non bere più vodka al Melone del discount e vivere come se nulla fosse, perché a me il G8 di Genova mi ha fatto diventare come gli astemi che dicono “non mi piace il sapore dell’alcol” perché quel sapore lo sentono ormai OVUNQUE.

Ed io questa cosa me la porto dentro da vent’anni. E credo davvero che la mia vita sarebbe stata un pochetto più semplice se esistesse una cura per questo brutto fastidio. Questa mia impossibilità di credere che ci sia un potere “buono”. Il male fisico che provo davanti alla perdita dell’empatia giustificata dall’appartenere o meno ad un ordine di cui si detiene il controllo… o lo si brama. Anche a costo di mentire davanti alle evidenza e inventare una realtà parallela e sci-fi (“Si stato tu, con il tuo sasso” dicevano. “Il proiettile è rimbalzato su un sasso lanciato da un manifestante” dicevano).

Beh, questa mia insana voglia di libertà, giustizia ed equità è incurabile davvero e, ora lo so, il contagio è avvenuto in quei giorni di Luglio del 2001 a Genova.

A Carlo Giuliani e a chi lo piange, come sempre. Come ogni anno, da vent’anni.

Regina della Notte

Regina della Notte

A volte mi chiedo dove sia l’uomo che temevo
e che mi ha cresciuto
con Jesus Christ Superstar e Colpo Grosso
prima che cominciassi a fumare e decolorarmi i capelli,
secondo una costellazione pedagogica tutta sua,
fatta di sorsi di brandy, di leggendarie bugie
per cui la mia voce era quella di Astrifiammante,
Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen
(La vendetta dell’Inferno ribolle nel mio cuore)
ma che non mi permetteva di credere
a quella favola hollywoodiana
del ricco che salva la puttana
(non esistono i principi azzurri e nessuno ti verrà a salvare, diceva),
in quel vecchio che rifiuto di vedere malato.
Quell’uomo, mio padre, esiste ancora
celato in quella sete di vino a buon prezzo e voglia di lottare,
in quell’assuefazione alla vita
che ha sostituito i tre pacchetti giornalieri di Diana Blu morbide.
Resiste nel negarmi la sua paura
allo stesso modo in cui decideva cosa era adatto al mio sentire
e cosa i miei occhi non dovevano vedere
dietro alla sua mano di ulivo capitozzato,
tra gli sbuffi rossi di polvere del suo sangue al confino.

Discount or Die, Nottetempo 2012

Discount or Die, Nottetempo 2012

pagine: 252 – 14×20
ISBN: 9788874523535
Data Pubblicazione: 01/05/2012
collana: cronache

Se fare la spesa al discount è un’arte, scegliere tra le infinite sottomarche, sconosciute o imitazioni che siano, è insidioso come scrivere una poesia. Discount or Die , nato come un blog per condividere esperienze e creare un archivio collettivo su ciò che c’è di orrido e sublime nei discount e nell’universo delle sottomarche, in Italia e non solo, è da oggi la guida alla galassia dell’hard discount. Qualità, prezzo, reperibilità, gusto, confronto, analisi. Scaffale dopo scaffale, barattolo dopo barattolo, Valeria Brignani ha raccolto il grand tour di tutti quelli che non solo non sono schiavi del brand, ma mediano, ogni giorno, tra i propri gusti e le proprie tasche. Discount or Die è un diario collettivo e scanzonato nel quale si incontrano ricette, pensieri, aneddoti e consigli per gli acquisti.

Rassegna stampa

Fiera / Una lingua morta

Fiera / Una lingua morta

Userai le cose fino a quando non saranno consumate.
Attimi tenuti insieme da graffette e colla che non è seme
per questa terra che cancella i passi e cela l’orizzonte.
Suoneranno come una lingua morta e dimenticata
le regole sbiadite dettate da chi ti voleva fragile.


E non chiederai scusa per aver scelto la notte, la lotta,
la saggezza del grembo, la verità dei sospiri
e per i capelli color degli spettri
che hai tagliato a quella bambola
che ti avevano regalato da bambina.

Non chiederai scusa per quella domanda
che ti fai sempre all’arrivo del treno
con gli occhi in bilico sul binario.


Imparerai a cacciare e a curarti da quella gatta
che ha il respiro di tutte le femmine della storia.
Ti nutrirai di ciò che è perduto per sempre,
mangiando solo per mandar giù vino scadente
e accantonerai i libri per ridere con uomini sbagliati.


Lotterai per gli alberi spogli, i marciapiedi infuocati,
il silenzio del tempo che nulla cicatrizza.
Ti chiameranno: fiera.

[Illustrazione di Onki Dayan] 
Non dite a mia mamma che io sono Wolverine, Aprile 2017

Non dite a mia mamma che io sono Wolverine, Aprile 2017

Don’t tell my mom è uno story show ideato da Matteo Caccia che, prima della pandemia, veniva ospitato dal Pinch sui Navigli a Milano, il primo lunedì di ogni mese. Le regole sono semplici: bisogna raccontare qualcosa di vero che non vorresti far sapere a tua madre, deve durare 5 minuti e non vale leggere.

Questo è il mio intervento di un lunedì sera di Aprile del 2016.

Non dite a mia madre che sono una pessima madre….

È dieci giorni che manca la mia adorata gattina di nome Ombra. Ed ogni volta che sento un rumore penso sia lei che è tornata e mi viene un infartino. Abito al piano terra e può entrare ed uscire quando vuole, perché ho deciso che fosse giusto favorire la sua autodeterminazione. La gattaiola simbolo della sua capacità di scegliere con chi e dove vuole vivere. Il fatto che sparisca spesso e volentieri per giorni e giorni, mi fa pensare di non essere la madre migliore del mondo. Sono quel tipo di madre troppo libertaria e troppo poco autorevole forse. E infatti, se non fosse sterilizzata, sarei contenta di sapere che va in giro a copulare e a fare strage di cuori… perché è bellissima. Ma non è così, lei va in giro perché le ho permesso di essere indomita e selvatica. 


Fatto sta che ho capito – ogni volta che sento un rumore e penso che sia lei – quel meccanismo delle madri che prendono a schiaffi i figli che attraversano a cazzo la strada. Ora comprendo gli occhi di rancore e giubilo di mia madre, che mi accoglieva sveglia in salotto quando tornavo da adolescente a notte fonda barcollando o vomitando perché avevo preso freddo. 

È che io ci credo proprio a questa cosa dell’autodeterminazione. E così come non voglio che la paura mi imponga di imbrigliare la mia indomita gattina, così non voglio che la paura mi impedisca di uscire da sola, far tardi e prendere i mezzi pubblici di notte.

Da sola.

Ubriaca la maggior parte delle volte.

Il problema principale del prendere i mezzi pubblici di notte, da sola e ubriaca per tornare in quel di Tradate in provincia di Varese, da Milano.. è che a causa dell’industria automobilistica e dei poteri forti legati all’industria petrolifera, i mezzi pubblici fanno letteralmente cagare – e non uso questa espressione a caso –  e l’ultimo treno è intorno alle 22 che mi porta però fino a Saronno e da lì prendere il bus sostitutivo che fa tutta la provinciale e tutte le fermate della linea ferroviaria. Dopo mezzanotte non ne parliamo… Perché non c’è neanche più il treno fino a Saronno e il bus parte direttamente da Milano Cadorna, per due ore di terrore o noia suprema a seconda di chi sono i miei compagni di viaggio

Una breve parentesi. Mi chiamo Valeria Disagio perché quando lavoravo nel sociale a contatto con parecchi casi umani, dovevo “censirli”, ma sebbene nei moduli che dovevo compilare ci fosse spazio per il nome e il cognome, per questione di privacy non potevo mettere il cognome e così pensando che i miei superiori non avessero gradito se io avessi scritto… che ne so… Matteo il tossico, Federico l’ubriacone o Paola la ritardata… ho optato per un generico e giornalistico “disagio”. Quindi c’era Matteo Disagio, Federico Disagio e Paola Disagio. La cosa fece molto ridere i miei capi che da allora mi chiamarono così, anche per altro motivazioni che non sto qui a spiegarvi… Ma tutti possono essere Disagio.  Un ragionamento analogo l’ho fatto per i miei compagni di viaggio del bus sostitutivo notturno.

Perché non è la nazionalità o il livello di istruzione che fanno l’emarginato. Non importa se proviene da un Paese più o meno maschilista o più o meno alcolista o più o meno devastato dalla guerra… ciò che ti rende un emarginato è il sacchetto.

Fate attenzione. Avete presente quei sacchetti enormi fatti di concentrato di petrolio purissimo, bianchi o azzurri, senza logo? Non li producono dall’86 probabilmente e non ho davvero idea di dove li recuperino. Fatto sta che se vedete uno con un sacchetto gigante, di notte, su un bus sostitutivo notturno, compatitelo o temetelo. Ed è di una gang di sacchettini, sacchettesi, sacchettari…. Non so come definirli… che vi voglio raccontare.

Perché una bella notte in cui tranquilla sedevo sul mio bus sostitutivo, mi sono imbattuta in un gruppo di 5 sacchettesi giovani e alle prime sbronze. Elemento che incrementa in modo esponenziale il fattore coglionaggine. Dico che sono giovani e alle loro prime sbronze perché bevevano Keglevich alla fragola. E chiunque abbia uno stomaco sa benissimo che non è possibile sbronzarsi per più di una volta per generazione con la Keglevich alla fragola.

Ad un certo punto però, i nostri sacchettari al gusto fragola e vomito, mi notano e cominciano ad avvicinarsi. Ed io dentro di me maledico quella mia stronzissima fissazione per l’autodeterminazione che mi ha portato da sola, di notte, su un bus sostitutivo notturno e ripasso come un mantra le tre tesi dell’autodifesa femminista.

Artist: Jenn Woodall

Sì, perché ho una bottiglia di birra in mano e penso che potrei difendermi spaccandola e puntandola alla giugulare, ma no…

Le tue stesse armi possono essere usate contro te stessa

Il manuale di autodifesa femminista sconsiglia l’uso di armi, perché è più facile essere disarmate prima di riuscire ad usarle. Non è proprio da tutti spaccare una bottiglia e puntarla alla gola di qualcuno. Metto via la bottiglia nella borsa sperando che non l’abbiano notata e vedo una cosa che mi ricorda la seconda tesi del manuale di autodifesa femminista.

Tu sei l’arma

Per questo s’intende che un “NO” risoluto o una determinata postura possono essere sufficienti a volte per scoraggiare un’aggressione. Io però non sono troppo lucida e penso che il mio corpo sia per davvero un’arma e comincio a ripetere “sono un’arma, sono un’arma… le mie mani sono un’arma… le mie mani hanno gli artigli… si io sono un mutante… sì, cazzo… io sono Wolverine” e infatti prendo le mie chiavi di casa, infilo ogni chiave tra le dita e così divento Wolverine. O almeno credo. Ma le chiavi strette così in mano fanno un male boia e no, non credo di riuscire ad artigliare qualcuno che le chiavi della cassetta della posta. Allora penso alla terza tesi, la più estrema: è statisticamente provato che delle donne si siano salvate da un’aggressione rendendosi sgradevoli e non appetibili – passatemi il termine sebbene il concetto in sé faccia davvero schifo – dal punto di vista sessuale.

CERCA DI FAR SCHIFO AL C***O

E allora eccomi lì, un minuto prima ero Wolverine e il minuto dopo sono pronta ad alzare le braccia al cielo e urlare “Ho la candida e prude da morire” o nel caso più estremo farmi la cacca addosso. Ma per fortuna i sacchettesi sono scesi alla fermata prima della mia. Io sono tornata a casa ho controllato che la mia gatta fosse dentro e ho chiuso la gattaiola. Perché il mondo è quel posto orribile in cui una donna deve essere disposata a farsi la pipì addosso per poter girare da sola.

E niente… non dite a mia mamma che io sono Wolverine. 

EDIT: ho smesso di prendere il bus sostitutivo notturno da anni, ma in compenso sono stata scippata da una gang di teenagerz, in pieno giorno, in treno.

EDIT 2: Ombra, la mia gattina, ha deciso di non tornare più. Mi piace credere che abbia trovato una coinquilina più attenta e premurosa di me. A lei avevo dedicato questo.

SIGNORA VERRUCA

SIGNORA VERRUCA

Wendy, vecchi occhi di orzata
manto di pioggia e buccia di salame
naso umido pensante

Precipito insieme a te, goffa, al tuo fianco
che potresti liberarmi di questa mia vita tra le fauci
ma su cui vegli da tre minuti o tre millenni.

Ci siamo chiesti cosa fosse il tempo per il cuore di una cagna
con la memoria del fango,
delle infinite foreste,
delle lotte tra branchi,
del canto dei lupi
e dei falò dei primi uomini,
legata a quelle tue zampe inceppate
in un loop di sogni, ringhiare, tuoni e saggezza.

Resta ancora qui
perché io non ho i tuoi artigli
o la tua mandibola capace di spezzare ossa,
ma condivido quelle tue gengive insanguinate
a custodia di denti che il tempo ha limato.

E questi giorni, in cui ogni ora è preziosa,
ed ogni tua ora basta a restituire furia e fierezza
alla parola “cagna” nei secoli passati e in quelli a venire,
ho bisogno di te come mai prima.

Perché non ho ancora imparato a cambiare il pelo
e quella tua pelliccia, che puzza e seduce,
mi è necessaria per essere me stessa in questo mondo.

“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

Articolo orginale qui

Recensione di “Brucia la vecchia”

28 Febbraio 2020

Ciao amici, lo so lo so, è da un pò che non vi tempesto di recensioni e vi sto mancando :p ma tra questa pandemia dettata dal Coronavirus -che ha portato a tenermi a casa Carlotta- e la ristrutturazione della casa nuova, mi sono trovata più occupata del solito però finalmente posso parlarvi di questo stupendo quanto triste libro.

Ho iniziato questo libro una mattina mentre facevo colazione in un bar della mia città e poi ho proseguito la lettura nel mio lettone, di sera, dove il silenzio e la calma creavano il perfetto ambiente di lettura.

In questo libro troviamo Nilde, un’adolescente che vive a Colle Torto, un paesello tra le montagne, insieme ai suoi nonni materni.

E’ li che un’estate arriva Alberto, buio ragazzo di città che porta un’aria di freschezza in quella vita triste e monotona della protagonista portandoli ad amarsi visceralmente e fondersi tra i primi rapporti e sinceri sfoghi giovanili ma tutto questo, insieme alla fine dell’estate, tramuta in uno shock enorme per la protagonista che viene a scoprire di aver un padre ovvero l’assassino di sua madre che ora ha scontato la pena e vuole conoscerla.

Cade così il mondo per Nilde ma non si scoraggia e decide di scoprire la verità sul passato di cui non ha mai sentito parlare; così facendo incontrerà persone diverse, mutate ma accomunate da sua madre, Alice ma dove condurrà questo intreccio di vite?

Leggere questo libro è stato come tornare adolescente…rivivere la mia gioventù nel mio paesello d’origine dove venivo sempre guardata ed etichettata perché diversa quindi è stato automatico, viscerale rivedermi in Nilde e sentirmi subito affine a questa protagonista.

Man mano che la storia prosegue, si scopre il passato dei personaggi collaterali che si intrufolano nella vita della protagonista sviscerando tante dinamiche e tante situazioni particolari che gli hanno condizionati a tal punto da strapparsi via le emozioni più belle della vita e tutto quanto perché un enorme senso di colpa gli attanaglia.

Nella storia vi è presente anche la tematica della sessualità mostrando come possa esser ricca di sfaccettature e come essa sia parte della vita di tutti noi; questo potrà sembrare particolare  ma io trovo che l’autrice abbia fatto capire quanto essa non debba esser un tabù ma vada apprezzata e considerata come un normale aspetto della vita di tutti noi sia che fossimo degli adolescenti sia che ci aspetti dietro l’angolo la pensione.

Un alto aspetto che emerge riguarda i segreti…segreti forti, atroci, violenti e vulcanici tanto da paralizzare le vite e congelare il cuore portandosi anche all’autolesionismo.

Segreti che condizionano, segreti che una ragazzina viene a scoprire e che affronta con la forza di una donna riuscendo a disarcionare dogmi e regole sociali affrontando scoperte anche brutali ma sapendo discernerle.

Inoltre ci si trova faccia a faccia con la depressione, con quella malattia che tanti rinnegano e quasi tutti evitano di affrontare.

Valeria mostra la depressione, la mette su un piedistallo e ci dice <<Guardatela! Capitela, o almeno non mettevi la benda sugli occhi!>>; ecco…queste pagine ci danno la possibilità di vederla, di affrontarla anche o almeno di venirne a conoscenza. 

Di Nilde vorrei avere la forza, la capacità totale di esser se stessa, di seguire ciò in cui crede e di pensare totalmente con la sua testa ma soprattutto la sua capacità di perdonare e dare un’altra possibilità.

Infine l’autrice, attraverso i vari personaggi, ci mostra come dietro a ognuno di noi ci possano esserci segreti, malvagità e finzione; ci viene palesato l’opportunismo, la gelosia, la violenza, la droga, la mancanza di dialogo e di sostegno.

In un certo senso ha raccontato buona parte delle schifezze della nostra società sottolineando quanto i silenzi e i segreti siano macigni enormi quindi…viva il dialogo e viva la sincerità.

Ora tocca a voi ragazzi…Brucia la vecchia vi aspetta!

Vi abbraccio

La vostra Ele