“Tibe e Valeria, la letteratura a Varese suona bene” VareseNews – 9 Aprile 2010

…Tibe e Valeria hanno fatto qui il liceo, lavorano per cooperative o come dj nei locali. Qui li si conosce perché li trovi sul discobus o al lago di Monate, ma a Londra o a Baltimora sono semplicemente “degli scrittori italiani”. Nessuno di loro però, racconterà ai varesini il suo libro in maniera usuale: lo farà invece diventare spettacolo teatrale, performance multimediale…

“Amordilibro Giovani, al Santuccio la letteratura si fonde con la musica” VareseNews – 8 Aprile 2010

…E sempre a giugno verrà presentato “Ritorno all’ordine” l’ultimo romanzo di Valeria F. Brignani, giovane autrice varesina che molti conoscono come animatrice del Discobus che la Cooperativa Lotta contro L’emarginazione organizza i sabati sera fuori dai locali. “Ritorno all’ordine” romanzo senza ancora un editore che verrà distribuito fotocpiato durante una serata, sarà presentato con esibizioni live disarticolate di musicisti varesini e proiezione di un cortometraggio sul libro in un mix che si preannuncia particolarmente originale….

“Le braccia di Kim Gordon” VivaMag – Aprile 2010

“We’re off the streets now, And back on the road. On the riot trail”

Teenage Riot -Sonic Youth-

C’è stato un tempo in cui musica voleva dire vita. Mi chiamo Melina e ho 30 anni. I miei genitori mi hanno dato il nome di Melina Mercouri, che è stata attrice, cantante e ministro della Cultura nella Grecia democratica. E’ un nome importante. Peccato che la maggior parte delle persone che ho incontrato nella mia vita non avesse la minima idea di chi fosse Melina Mercouri. Melina. Piccola mela. Hanno iniziato all’asilo a prendermi per il culo. Durante l’adolescenza, il mio carattere introverso combinato ad una taglia di tette sotto la soglia della misurazione, hanno fatto di me una persona sola, triste e furiosa con il mondo. Guardavo le mie compagne e mi chiedevo che cosa ci fosse in me che non andava. Nello sguardo dei miei genitori preoccupati, nel ghigno dei cugini e nel rimprovero de nonni e degli zii. Io sono nata storta. Ciò che è certo è che non sono come voi. Io sono diversa da tutti. Ho vissuto i primi 16 anni della mia vita con questa deprimente convinzione. Così è stato fino a quando non ho conosciuto Nilde. I suoi genitori, per lei, avevano scelto il nome di una donna antifascista e comunista nell’Italia della Resistenza. Nilde e Melina. Quando ci siamo incontrate ho capito che non sarei più stata sola. Nilde era meravigliosa. Nilde per il mio compleanno mi regalò Daydream Nation dei Sonic Youth e niente fu come prima.

Ho incontrato Melina che era un disastro sotto ogni punto di vista. Credo di non peccare di superbia nel dire di averla salvata da un suicidio certo. Non sarebbe arrivata ai vent’anni. Ne sono sicura. Di lei, ho subito apprezzata quella sete, quella ricerca estenuante di qualcosa. L’inquietudine e il disagio come scelta di vita programmatica. Il mio merito è stato quello di introdurla nel meraviglioso mondo del rock’n’roll. Perché per quanto assurdo possa sembrare, la musica può salvare una vita. Così è stato per lei. Così è stato per me.

Nilde e Melina si vestono uguali. Nilde e Melina stanno sempre insieme. Nilde e Melina camminano per strada, coi loro anfibietti e le loro borse militari piene di scritte. Nilde e Melina cantano all’unisono e vivono in simbiosi. Nilde e Melina si scambiano i cd e si scambiano i vestiti. Non frequentano nessun altro. Nilde e Melina si completano e si bastano. Niente ragazzi, niente amici, solo loro e la musica.

Cara Nilde, a volte penso che se fossi un uomo potrei amarti.

Mia dolce Melina, niente potrà separarci.

 C’è stato un tempo in cui musica voleva dire vita. Quel tempo è destino che finisca. Si arriva ad un punto della propria esistenza in cui le priorità mutano. Relazioni d’amore più o meno insane, incertezze lavorative, i genitori che invecchiano e i nonni che muoiono. Non so come succede, ma capita che la musica diventi solo un sottofondo della ansie e delle preoccupazioni di una vita vissuta con fretta e fastidio. Da quanto tempo Melina non entra in un negozio di dischi? Saranno anni.

 Melina ha 30 anni, ha la macchina piena di borse e scatoloni. Piange. Dietro di sé ha lasciato l’ennesimo fallimento in fatto di relazioni amorose. Una casa in cui ha vissuto negli ultimi 2 anni. Un piccolo appartamento di 50 metri quadri che ha condiviso con un uomo che credeva fosse quello “giusto” e l’estenuante sforzo di essere quella che voleva che lui fosse. Fanculo. Per quanto lei si sforzi, non riesce a trovare quella sintonia che caratterizzava il suo rapporto con Nilde. Ha amato molti uomini ed è stata amata, ma quell’eterna insoddisfazione non l’abbandona mai. Arriva ad un punto che si sente come in gabbia. Cos’è che manca? Da quanto tempo non vede Nilde? Troppo tempo. Il loro rapporto si è esaurito in una serie di telefonate mensili in cui ci si lamenta della propria esistenza. Una sorta di rendiconto ciclico eseguito quasi per dovere. Un tempo si divertivano, cazzo. Un tempo ridevano. Cerca il cellulare nella sua borsa e compone il numero di Nilde.

 Nilde, con la faccia incollata ad uno schermo della tv, svolge svogliata il suo lavoro: stira. Tutta la sua energia è impiegata a non saltare addosso al suo ragazzo che tira su col naso. E’ ossessionata da quel rumore. Perché non ti soffi il naso una buona volta cazzo? Non sopporta niente di lui. Ogni cosa la esaspera. Il modo in cui strascica le ciabatte quando cammina. Il rumore che fa mentre mangia. Il piccolo Samuele le tira il bordo della maglietta. “Mammamammamammamamma” Urla con tutto il fiato che quei piccoli polmoni possono contenere. Samuele è terrorizzato da una sedia in cameretta. “Ha gli occhi, mamma. La sedia mi guarda.” Nilde non ce la fa più, guarda il suo compagno che vaga tipo zombie per casa, grattandosi i coglioni con la mano nelle mutande. Ha bisogno di una pausa da se stessa. Una piccola vacanza dalla sua vita. Ma come fa con Samuele che strilla e il suo uomo che emette rumori fastidiosi? Non ha voglia di litigare. Prende su la borsa ed esce. Il cellulare… dove cazzo è il cellulare. Ha voglia di sentire Melina. Le cose da un po’ di tempo non vanno benissimo, ma la chiama lo stesso o presto esploderà. Il telefono suona. E’ lei.

 Nilde e Melina scelgono come punto di ritrovo quel negozio di dischi in centro dove hanno passato interi pomeriggi in passato.

 “Sto di merda”

“Idem”

“Cosa ci è successo? Perché siamo infelici?”

“Uomini, lavoro, figli, genitori, soldi… il solito, no?”

 Melina si accende una sigaretta. Ride… “guarda…”

 Un poster attaccato alla vetrina le informa che i Sonic Youth suonano la sera stessa.

“Cazzo, io devo tornare a casa c’è da mettere Samuele a letto”

“Merda, il biglietto costa troppo. Non posso spendere tutti quei soldi, devo fare mille cose e i miei ancora non lo sanno che ho rotto con lui. Questa volta avevo giurato che era la volta buona…”

 Nilde e Melina si guardano.

 “Fanculo. Andiamoci”

 Nilde e Melina sono in macchina.

Nilde ha su la maglietta con cui ha dormito, è struccata… E’ uscita così di corsa che non si è neanche preoccupata di guardarsi allo specchio.

Melina ha pianto così tanto che il trucco le arriva alle guance. “Sembro una dark.” e ride.

Non vanno insieme ad un concerto da anni. Mangiano un panino al Mac Donald’s e comprano un cartone di vino spuzzo in un minimarket. Nilde e Melina si ubriacano di Tavernello fuori dal concerto. Quando Kim Gordon sale sul palco rimangono con la bocca aperta e spingono per conquistare le prime file. Fa caldo. Un caldo boia. Sudano e ballano. “Lo sai che ha cinquant’anni o giù di lì?” Kim Gordon danza roteando le braccia. Quelle braccia magre e nervose. Braccia che hanno tenuto in braccio figli. Braccia che da più di vent’anni suonano un basso. “Secondo me lei è felice, cioè… io credo che si possa anche essere madre e adulti ed essere felici. Cioè… dove sta scritto che le responsabilità e le preoccupazioni devono renderci sterili e passive?”

 Nilde sbiascica, stanca e sbronza. “Quello che voglio dire è che forse non si dovrebbe mai abbandonare il rock’n’roll. Cioè… bisogna vivere da rockstar.”

 Melina, guarda Nilde, la trascina da un gomito. “Sai cosa facciamo? Ora ci compriamo una maglietta del concerto come due adolescenti del cazzo”.

 “Rock’n’Roooolll”

Valeria Brignani

VivaMag – Aprile#2010

“Gli zigomi di Diamanda Galas” VivaMagazine – Marzo 2010

Vivo da sola. Il Comune mi ha fatto uno sconto del 30% sulla tassa dei rifiuti. La mia spazzatura è la manifestazione fisica della mia solitudine. Faccio fatica a riempire un sacchetto alla settimana. La tengo per una quindicina di giorni sul balcone fino a quando non sono certa di riempire un intero sacco viola. I primi tempi portavo quel mega sacco riempito solo da una misera busta leggere. Il sacco vuoto mi metteva tristezza se affiancato a quelli dei miei vicini stracarichi e sul punto di esplodere. Mi sentivo come se non esistessi, il non produrre rifiuti come prova della mia inesistenza. Non produco scarti, non vivo. Bevo un caffè la mattina. Riempio di acqua una tazza, due cucchiai di zucchero e due di caffè. Un minuto nel microonde. Una crostatina e la mia colazione muore producendo una singola confezione di plastica di 7cm per 7. A mezzogiorno mangio un toast. Altre due pezzi di plastica che rivestono le sottilette. Bevo un bicchiere d’acqua del rubinetto. Un altro caffè e una sigaretta. A cena mangio una zuppa liofilizzata. Un’altra busta di tretrapack. Questa è la mia spazzatura. Vivo da sola e lavoro in casa, per vivere leggo i libri degli altri. Vivo attraverso le loro storie. Non esco mai di casa. Fumo. La mia spazzatura è arricchita da una quindicina di mozziconi al giorno più svariati grammi di cenere.
Produco poca spazzatura. Il comune mi fa lo sconto del 30% sulla tassa dei rifiuti. La domenica sento i miei vicini di casa mangiare. Sono una famiglia nel vero senso della parola. Un uomo una donna, due figli, due macchine una moto una bicicletta un mutuo e probabilmente le rate degli elettrodomestici. In estate mangiano sul balcone. Io li ascolto. Ascolto il tintinnare delle loro posate e i loro discorsi. Il padre che dice “passami il sale”. La mamma che taglia la carne al figlio più piccolo. Li vedo di raro, ma li conosco. Conosco i loro orari. Sento quando si lavano e quanto ci mettono. Quando escono per andare a lavorare e quando tornano. Sento quando litigano e perché sgridano i figli. Lui è uno fissato col ciclismo, vedo dalla mia finestra che ogni sabato pomeriggio esce con la sua tutina sintetica e torna dopo ore sudato. Sento che si lava. Sento che dice “che fai di buono stasera?” alla moglie. Sento la moglie che canticchi quando stira. Quando mangiano sul balcone, in quelle calde giornate d’estate, a me sembra di essere in campeggio. Quand’ero piccola andavo sempre in vacanza con la roulotte. All’ora di pranzo sentivi tutto il campeggio in silenzio. Sentivi solo il rumore delle posate. Finito il pranzo le donne nei lavatoi lavano i piatti che portano dentro a bacinelle di plastica colorate. Gli uomini leggono il giornale e si addormentano sotto gli eucalipti. I bambini fremono per andare in spiaggia. Le due ore che devono aspettare affinché la digestione faccia il suo sporco lavoro sono interminabili. Sono le più calde della giornata. Il sole, di quelle ore, dicono che sia nocivo. Era bello il campeggio. Mi piacerebbe andarci qualche volta, ma mi spaventa l’idea di vita in “comune”. Una piazzola non basta per creare privacy e i campeggiatori sembrano convinti che si debba per forza stringere amicizia con i vicini di roulotte. Per non parlare della zona tende. Tutti giovani, pieni di fumo che sperano di scopare o trovare altro fumo. Per carità… non è che mi diano fastidio. A me piace la gente. Mi piace osservarla. Ed è come guardare un film o leggere un libro. Considererei fantascientifico e arrogante il desiderio di prendere parte allo show. Io sono una spettatrice. Questo è il mio ruolo. Credo sia una cosa di vitale importanza capire quale sia il proprio ruolo. Conoscersi a fondo. Rispettare la propria natura. Ho passato 25 anni della mia esistenza a cercare il mio ruolo all’interno della società. Non l’ho trovato. L’unica costante era quella di sentirmi a disagio. Fuori luogo. A mio avviso la parola disagio viene usta troppe volte in modo negativo. Il disagio, dal mio punto di vista, dovrebbe essere una condizione imprescindibile del vivere. E’ l’unico modo saggio per stare al mondo. Non accettare lo status quo, non assecondare mai le situazioni. Porsi in modo critico e non adagiarsi mai. Non rispettare le regole di un gruppo. Se non c’è disagio, non c’è io. Sentirsi a proprio agio in un contesto sociale, vorrebbe dire perdere il proprio “io” per diventare un “noi”. Il “noi” non funziona quasi mai.
O almeno, con me non ha mai funzionato. Ne ero in un certo senso rassegnata, ma oggi mi sento così sola che non ho voglia di mangiare, lavarmi, vestirmi. Ho paura che se passerò l’ennesima giornata chiusa in casa (da quanti giorni non esco? Quattro? Cinque?) potrei impazzire. Oggi è Domenica e voglio farmi un bagno, vestirmi bene e mettere il profumo. Uscire di casa per andare non so dove. Una volta fuori dalla porta deciderò. Una volta chiusa a chiave la porta dietro di me, mi verrà sicuramente l’ispirazione. E così accade. Incontro la figlia grande del mio vicino che è tornata dalla messa. E’ insieme alla madre e solo per oggi, decido di fermarmi a scambiare due chiacchiere. Non so neanche come si faccia, ma la cosa risulta più facile del previsto. Io sorrido e annuisco e la signora parla per tutte e due. Ora, rimane da capire, come riuscire a farmi invitare a pranzo. Dopo mesi ad ascoltare il loro rumori dei pasti, mi piacerebbe prendere parte a quella scenetta. Sarebbe come entrare a far parte del proprio serial televisivo preferito. Se mi chiedesse dove vado di bello alle 12 di una domenica qualsiasi, potrei dirle che mi sono accorta di avere finito il pane per i toast e che cerco un supermercato aperto. Ma dopo tanto tempo a nascondermi e ad essere schiva penso che non oserebbe tanto. Per fortuna c’è la figlia e i suoi dodici anni. “Ma tu stai sempre a casa? Non ce l’hai una mamma e un papà?” La madre la rimprovera benevola, ma in fondo in fondo, si vede che è più curiosa della figlia e vorrebbe sentire la risposta. Sono figlia unica e i miei genitori il giorno dopo che sono andati in pensione, si sono trasferiti al sud. Li vedo due volte all’anno. “Abitano lontano. Qui non ho nessuno.” Solo dopo aver pronunciato al frase mi rendo conto di quanto possa suonare triste alle orecchie di una bambina. Ma anche di una madre, con marito, figli, suocere, fratelli, genitori, colleghi… Infatti, in mezzo agli occhi le si forma una profonda ruga di compassione. Per la prima volta le scruto il volto con attenzione. Distolgo lo sguardo dalla punta dei miei stivali, che fisso da diversi minuti, e osservo i suoi zigomi. Non li avevo, mai notati. Ha gli stessi zigomi di Diamanda Galas. Lo stesso mento puntuto. Quegli zigomi e quel mento che mi fanno compagnia da anni intanto che mangio. Ho un poster di Diamanda Galas sul muro sui cui è appoggiato il mio tavolo. Dopo mesi a mangiare con il vuoto di fronte a me, ho pensato di colmarlo con una faccia. Il volto di Diamanda Galas di fronte al mio intanto che mangio. Ogni tanto scambio due parole con lei. “Ho messo troppo sale nell’acqua” o cose del genere. O guardando il tiggì, se sento notizie aberranti, la invidio e le dico cose come “Beata te che non abiti in questo paese.” E lei mi guarda così eterea e così lontana dai fatti terreni. Credo che Diamanda non produca spazzatura. Ma in lei, non è tristezza, è divinità.

Valeria Brignani

“Castigo Divino / Divine Punishment” in SANTI: LIVES OF MODERN SAINTS, BlackArrow Press, Baltimore (USA) 2007

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=lkFdBa1LFXE&fs=1&hl=it_IT]

SANTI: LIVES OF MODERN SAINTS
An anthology of short stories published by Black Arrow Studio & Press edited by Luca Dipierro and N. Frank Daniels.
Design and illustrations by Rachel Bradley.
452 pages, softcover, w/ French flaps 25 b/w illustrations, ISBN 978-0979890802.

Includes the CD WHERE’S MY HALO? Five Stories from SANTI with original soundtracks by Sin Ropas (USA), Blake/e/e/e (USA/Italy), Polmo Polpo (Canada), Garland of Hours (USA), absinthe (provisoire) (France)

“The world is full of people bumping into one another. This leads to love,lust, fear, understanding, influence, debt, thievery, animosity, compassion, indifference, death and everything between those irregular coordinates. Santi: Lives of Modern Saints is a collection of characters experiencing all manner of circumstances, from grand and fractious to quiet intimacies. These stories are rich with beating hearts. It is populated by a series of riveting individuals seeking answers, redemption, or just some calm. This book is full of lives being shaken to their core, reaching for dignity, temporary delirium, or a warm embrace.”

-David Greenberger, The Duplex Planet

“Finally, somebody has updated the strange and wonderful literary genre of hagiography. Thank you, Black Arrow, for this astonishing collection of sacred fictional texts. These stories reveal the mysteries and the wonder of the daily world – if we are only attentive to the important signs and meaningful details that exist all around us.”

-Michael Kimball, author of How Much of Us There Was and Dear Everybody

Burning bushes, neon halos, preachers, sinners, false prophets, schizophrenic Santas, talking dogs, healing hands, living tattoos and much more is revealed in SANTI: LIVES OF MODERN SAINTS.
Step into a world where saints and sinners collide as you’ve never seen or read before. SANTI is an anthology of short stories. A cabal of today’s most original up-and-coming Italian and American authors take traditional religious myths and flip them on their heads.

You’ll be horrified by a modern Messiah created from the body parts of long-dead saints. You’ll discover that today’s most recognized saint, jolly old St. Nick, has divorced Mrs. Claus in search of an easier life.
The chronicle of a man’s bizarre and disturbing addiction from childhood to death. A saint loses his healing power, only to be found in his son. A kid sees the devil in his classroom. An unacknowledged prophet witnesses the image of the Virgin Mary in a bowl of oatmeal.

These stories explore life in an increasingly profane modern world.
Featuring new fiction by Giovanni Arduino, Cristiana Astori, Grant Bailie, Alan Bissett, Valeria Francesca Brignani, Dan Chaon, N. Frank Daniels, Luca Dipierro, Greg Downs, Michael A. Fitzgerald, Timothy Gager, Davide Garbero, Danni Iosello, Noria Jablonski, Roy Kesey, Jon Konrath, David R. Matthews, Claudio Morandini, Giona A. Nazzaro, Erin O’Brien, James P. Othmer, Rob Roberge, John Sheppard, Giuseppe Signorin, Simone Tordi, Federico f. Zanatta.

SANTI: LIVES OF MODERN SAINTS will enlighten and amuse, terrify and redeem. This unique and comprehensive anthology leaves a lingering aftertaste that will stay with you for years to come.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=AfWLchvEWVc&fs=1&hl=it_IT]

“Barbie” e “Occhidibrà IV” in TUTTI GIU’ ALL’INFERNO, Giulio Perrone Editore, Roma 2007

Quattro luglio di un anno qualunque. Uomini e donne nel caldo infernale di una metropolitana. Ognuno ha un peccato da espiare, vero o presunto, ognuno il suo senso di colpa. Una fermata per ogni piccola trasgressione, o efferato delitto, alla ricerca di fuga o assoluzione. Un viaggio in 33 canti, accompagnato da un Caronte occhi di bragia che ci rappresenta come uno specchio: comico e tragico, grande e meschino insieme. Ci siamo tutti, nessuno escluso.

Lo raccontano i nuovi talenti della letteratura italiana usciti dalla fucina de iQuindici, costola lettrice di Wu Ming. Insieme a Monica Mazzitelli troviamo Guglielmo Pispisa e Jadel Andreetto di Kai Zen, Giulia Fazzi e Yari Selvetella, Chiara Valerio e Francesco Fagioli, Marino Magliani e Valeria Brignani, con altri talenti emergenti o già emersi, voci intense e fuori dal coro per raccontare l’inenarrabile, l’inconfessato. In più, un cammeo di Giulio Mozzi, scrittore, editor e coordinatore di Vibrisselibri, casa editrice anfibia che si ispira in parte all’esperienza de iQuindici.

A cura di Monica Mazzitelli.
Scaricabile qui!

Contiene il mio “Barbie” e “Occhidibrà IV” scritto a quattro mani con Chiara Valerio.

“Il tappeto rosso” Rolling Stone – Gennaio 2007

Rolling Stone Gennaio 2007

Lavanya Sankaran

IL TAPPETO ROSSO

Marcos y Marcos

Priyamavda vive negli Stai Uniti, i suoi genitori sono ricchi e integrati. Se non fosse per il colore della loro pelle, giureresti che sono americani. Priyamavda cerca le sue radici a Bangalore. Le trova in un dodicenne che accetta di diventare Bramino in cambio di un lettore cd. Ramu dopo una giovinezza all’insegna della promiscuità, si affida alla madre per cercare una buona moglie vergine. Il D’Costa sbircia i suoi vicini, una giovane coppia di professionisti. Lavorano entrambi nel campo dell’informatica. Loro sono moderni. Come moderna è la signora Chouhary: Raju è il suo autista e non tollera che la sera si faccia accompagnare al bar a bere con le sue amiche. Otto racconti indiani. Tre generazioni.

Valeria Brignani

“Bungee Jumping” Rolling Stone – Novembre 2006

Rolling Stone Novembre 2006

Gero Girglio

Bungee Jumping

Marsilio

Ci sono amori adolescenziali teneri e struggenti che ti si appiccicano addosso. Quante lacrime versate per Donnie Darko e la sua Gretchen. Quanta poesia nei due giovani amanti di American Beauty. La mani che si sfiorano e due infelici sempre fuori luogo s’incontrano per sentirsi a casa. Perché l’adolescenza è quel periodo stronzo, in cui ci si sente come “nell’attimo dell’esplosione di un kamikaze”. Sole vive giorni incolore in una città senza nome, fatta di “tane di animali della stessa specie”, popolata da persone senza originalità. Tutti uguali. Tranne uno. Tommy. Tommaso ne ha di merda da mandar giù. Tanta rabbia da riversare nelle sue rime. Rap-catarsi un po’ ridicola. Come si fa a vivere “con il nero che ti cresce dentro”? Tommy e Sole, con le caviglie bloccate a un elastico, si buttano giù, che è un po’ come morire. Si forano la pelle “perché bucarsi fa dormire il peccato”. Diventano traceur. Lo scopo del parkour è percorrere 5km in linea retta. Non importa cosa troverai davanti. Ogni ostacolo deve essere superato. Chi arriva primo vince, il secondo non esiste.

Valeria Brignani

“Indecision” Rolling Stone – Settembre 2006

Rolling Stone Settembre 2006

Benjamin Kunkel

INDECISION

Rizzoli

Dicono che la malattia del secolo sia l’insicurezza, che può portare all’abulia. Se ci metti ore a scegliere cosa ordinare al ristorante, se al supermercato ti paralizzi di fronte ai mille tipi di carta igienica, se usi una moneta per prendere decisioni importanti… Ecco. E’ probabile che tu soffra di abulia. Come Dwight, che ha 28 anni e una laurea in filosofia, che vive strascicando i piedi, sbadigliando e grattandosi i genitali. Scarabocchia su un blocchetto tutto ciò che vuol fare (e non fa). Le cose del mondo scivolano sul suo corpo peloso. Non-vive. Fino a quando in Ecuador, nella giungla, non decide di cogliere il frutto e abbandonare l’Eden. Quale frutto? Quello della consapevolezza del sé. Frutto amaro. Non ci sono scuse. Bisogna scegliere prima di tutto la vita.

Valeria Brignani

“Palazzo Yacoubian” Rolling Stone – Giugno 2006

 

Rolling Stone Giugno 2006

‘Ala Al-Aswani

PALAZZO YACOUBIAN

Feltrinelli

Palazzo Yacoubian è stato costruito negli anni Trenta da un architetto italiano. Si trova al Cairo, ma “Yacoubian” è scritto in eleganti caratteri occidentali. Dove venivano parcheggiate Buick e Rolls-Royce, oggi si allevano polli e conigli. Zaki al-Dusuqi è un vecchio sporcaccione che racconte barzellette sconce, ma un tempo era capace di far impazzire una donna con il tocco delle dita. Taha è figlio del portinaio, è devoto ad Allah, bravo a scuola e vuole fare lo sbirro, ma siamo in Egitto durante la prima guerra del golfo, i politici recitano la fatihà dopo aver accettato una tangente, e nelle università il gruppo degli studenti islamici chiama a sé i poveri e gli arrabbiati. Nel nome di allah si condanna l’amore tra Hatim, giornalista omosessuale, e Abdu, giovane soldato del sud. La Vergine Maria veglia sui loschi traffici di Malak, finto-sarto convertito al cristianesimo. ‘Ala Al Aswani entra in punta di piedi nelle stanze del palazzo. Origlia. Sbircia. Racconta con ironia una storia di decadenza, di debolezze e di cattiveria. Cinico, parla di quel dio che si manifesta “come la gente lo vede, cattivo con i cattivi e buono coni buoni”. Di chi crede in lui. Di chi lo teme. Di chi lo ignora. Di chi lo offende. Ma per fortuna c’è anche posto per l’amore. Inch’Allah…

Valeria Brignani