1.Stati di agitazione | IL GRANDE ROGO DEL ’25

1.Stati di agitazione | IL GRANDE ROGO DEL ’25

STATI DI AGITAZIONE

«Andrà tutto bene» dico al mattone che fisso da circa un’ora.

Mi fanno male le braccia. Maledette appendici sottomesse alla forza di gravità. Dovrebbero stare giù e dondolare come orecchie di cocker e non in questa innaturale posizione di corna di cervo. Ma se tiro giù le braccia, l’uomo alle mie spalle urlerà qualcosa in una lingua che non comprendo, ma che mi fa paura.  

Indossa la mimetica, un passamontagna e un mitra a tracolla come se fosse una BC Rich attaccata al diaframma di un metallaro o di un musicista di liscio.  

«Metallari e animali da balera… Solo loro disdegnavano l’estetica grunge di uno strumento all’altezza dell’inguine, in favore di una maggiore resa tecnica. Loro, con le loro chitarre appuntite ad altezza capezzoli e i gomiti alti come zampe di cavalletta» mi aveva raccontato Fausto, parlando degli anni Venti, all’inizio di questa storia. 

Mi chiedo perché mi torni in mente, proprio ora, questo frammento di conversazione di quella notte. La notte in cui tutto è cominciato. 

Ma la memoria gioca strani scherzi e a volte riemergono ricordi che non reputiamo importanti e al contrario, di questioni considerate fondamentali non rimane che una scia lontana e sfocata alle nostre spalle. 

Rammento molto bene, per esempio, la prima volta in cui Fausto mi ha fatto ridere fino a togliermi il fiato. E adesso che ho paura di morire, non ricordo più come si fa. Vorrei trovare divertente quest’uomo alle mie spalle, dalle manifeste e cattive intenzioni, con le dita sul suo strumento –  che è un fucile e non una BC Rich, non me lo devo scordare – simile ad una cavalletta gigante, pronto ad affrontare un riff in crescendo che leva il respiro. Il mio respiro.  Prana Apana Sushumna Hari.

Il torace: cassa di risonanza di questo battito assordante e del mio affanno, che è musica violenta e mi anima e mi soffoca, come ovatta infilata giù per la gola di una bambola a cui hanno staccato la testa. 

Come faccio a soffiar via il male cantando, se non ho più fiato in gola?

«Gente bizzarra i musicisti che ci tengono a suonare bene. Si contavano sulle dita di una mano» aveva aggiunto Fausto, ricordo. 

Si contano sulle dita che mi rimarranno attaccate alla mano, risparmiate dalla cancrena, quando tutto questo sarà finito. Quando mi sarà chiaro cosa ne sarà di me e degli altri quattrocentoventidue ragazzi, con la faccia al muro e le mani alzate sopra la testa. Quando capirò cosa è andato storto e come ci sono finita con un fucile puntato tra le scapole, in un night club sconsacrato con neon rotti, velluti pieni di pulci ed affreschi rinascimentali vandalizzati che ancora conserva le cicatrici del Grande Rogo Civile del 2025.  


Olona Wasteroom Session #Zero

Olona Wasteroom Session #Zero

La Wasteroom è la factory audio/video del collettivo Olona Wasteland Punx, nata per dare voce ai gruppi nella forma più schietta, distorta e genuina. EPISODIO ZERO: Stoned Monkey – LIVE + INTERVISTA!

Accendete i bong, cospargetevi di fango e fatevi devastare l’apparato uditivo.

Bizzarriti to the core // d.i.y. ör die!

Doom or be Doomed!

Olona Lower Death Valley, settembre 2020

Le Sessions nascono nell’autunno 2019 all’interno della nostra saletta autogestita con l’obiettivo di documentare il maggior numero di band legate alla scena d.i.y./underground che orbitano intorno alle lande desolate della Valle Olona. Dopo alcune sessioni di prova, il progetto subisce uno stallo dovuto alla mancanza di energie e di tecnologia. Oggi, costretti dalla sospensione dei concerti sudati, riprendiamo in mano cavi, mixer, telecamere e microfoni: questa modalità di documentare un concerto diventa un modo di testimoniare il momento storico, ricreando momenti di aggregazione e confronto in tutte le fasi del progetto. Il live è ugualmente potente, a metà tra sala-prove e palco, e nella breve chiacchierata a seguire si dà voce ai gruppi nella forma più schietta e genuina, senza le finalità dei patinatissimi video promozionali. Una videozine? Forse. Sicuramente il focus è sui volumi e sulle distorsioni, ma ci teniamo a sottolineare quello che ci spinge: l’autoproduzione come scelta, non trampolino; l’autogestione come strumento per condividere e raggiungere i nostri obiettivi.

Non siamo un collettivo militante, ma crediamo nella libertà: non tolleriamo l’intolleranza!