III/ LA SVOLTA SEXY ED IL DECLINO

III/ LA SVOLTA SEXY ED IL DECLINO

Dozzine di donne sacrificate impunemente all’altare della Chiesa Evangelica.

Terza ed ultima parte di The Disney Channel: un orribile disegno / Seconda parte: L’anello della purezza

Britney Spears è diventata famosa con una canzoncina che diceva Hit me baby one more time, che significa “colpiscimi”, anche se lei intendeva “sorprendimi”, ma noi tutti abbiamo visto e rivisto una ragazzina vestita da collegiale con le treccine, dire “picchiami” per quasi quattro minuti di canzone. Eppure, la fidanzatina d’America, che per prima fece della verginità qualcosa di pop e cool, riusci ad ingannare proprio tutti. Tutta l’America cristiana e bigotta, che non si fece scandalizzare neanche dalla mastoplastica additiva (silicone alle tette), quando la nostra non era ancora maggiorenne.

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Lei, di bianco vestita, che in Sometimes, chiedeva all’uomo della sua vita di “aspettare”. Ma poi è arrivato Justin, le delicate dichiarazioni di lui, la dolorosa rottura, l’accusa di tradimento di lui (Cry me a river) e la difesa di lei (Everytime).

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Britney ora è sola. Troppo adulta per la DC (Disney Channel), troppo poco vergine per la Chiesa Evangelica e i Repubblicani, che invece puntano sulla nuova pupilla Jessica Simpson, la prima a mostrare fiera l’anello della purezza sui rotocalchi, seguita da tutta una serie di teen-idol più giovani e pure di lei. Le vendite sono in calo ed è davvero difficile rimanere sempre al top, così la nostra (o chi per lei) decide che bisogna ripetere la formula che l’ha portata al successo, ovvero vendere sesso facendo finta di niente. Giunse così l’ora della famosissima SVOLTA SEXY con I’m a slave4You, in cui Britney sudata e seminuda sussurra sensuale e ci va giù pesante di movimenti pelvici, affermando “Sono la tua schiava” (ma lei si rivolge alla musica, mica a te, pervertito!)

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Jessica Simpson si presenta al mondo come la figlia di un reverendo texano, (ma non è vero! Il padre è solo un manager musicale che dopo di lei, lancerà la figlia più piccola, con un piglio meno virginale e caramelloso, in favore delle buone ballad rock’n’roll-country che piacciono alla sana e cristiana America). Esordisce comunque come la nuova icona della Cristianità.

Canta in chiesa, incide cd di christian-pop, va ai convegni nazionali cristiani, va al MICKEY MOUSE CLUB, si mette insieme ad uno del MICKEY MOUSE CLUB, si sposano, fanno il reality, interpreta (male) il sogno erotico di ogni buon redneck che si rispetti, ovvero Daisy di Hazard, finanzia la campagna elettorale di Geroge W. Bush, divorzia, ingrassa e sparisce dalle scene.

Per Britney è l’inizio della fine. All’età di 22 anni si sposa a Las Vegas con un amico d’infanzia, sopra una limousine verde mela. Indossa dei jeans strappati ed un cappellino da baseball. Il giorno dopo si scusa, ma il danno è fatto ed una foto prova l’inconfutabile: Britney Spears era dannatamente ubriaca. La roba manda così in bestia l’America bacchettona da far imbufalire pure la moglie del governatore del Maryland, che lancia una campagna dal cristianissimo nome “KILL BRITNEY” e dichiara «You know, really, if I had an opportunity to shoot Britney Spears, I think I would.» Comincia a frequentare gentaccia (come Fred Dusrt dei Limp Bizkit), che si bullerà parecchio di averla scopata. Diventa molto amica di Paris Hilton e Mel Gibson (tanto ninfetta la prima, quanto folle il secondo), fuma, beve, va in giro senza mutande e si sposa con un ballerino con la faccia da idiota (Kevin Federline) con cui fa una manciata di figli. Il giorno del matrimonio le damigelle e i damigelli indossano tute di ciniglia con su scritto “Pimp” (pappone) o “Bitch” (stronza/puttana) sulle chiappe. Servono ali di pollo e immolano parecchie mucche al dio del trash. Britney e Kevin scopano un sacco. Oh, sì… lei è obnubilata dal suo cazzo. Si fa beccare dai paparazzi in tanto che glielo massaggia, si lascia andare, ingrassa e ride sguaiata ed ubriachella all’obiettivo. Britney ora è felice.

Ma a chi può vendere i dischi una Britney incapace di danzare, cantare, fuori forma, volgare e che fa la solita musica di merda? Fosse una rock star, nessuno si stupirebbe! Ma lei è la reginetta gné-gné d’America, mica Courtney Love!

Britney chiederà il divorzio a Kevin (senza addurre alcuna motivazione ufficiale). Lui darà il via ad una lunghissima battaglia legale per l’affidamento dei figli, denunciandola di ogni cosa. Lei, per pararsi il culo, si ricovera in una clinica di riabilitazione e si rapa a zero, in modo da evitare un eventuale test tricologico, volto a rilevare la presenza di droghe nel suo corpo. Britney è fuori di testa.

Da fidanzatina a incubo d’America. Cosa è successo realmente a Britney Spears?

Lamie Spears, suo padre, va da un giudice e fa dichiarare Britney incapace d’intendere e volere. Ora tutti i suoi soldi, la sua immagine, la sua carriera sono in mano al padre e alla madre, che diventano (ri-diventano) i suoi manager. Suo padre la segue persino in tour e durante le registrazioni dei videoclip. Britney Spears ormai trentenne, non ha tutt’ora la possibilità di scegliere della propria vita e per volontà di padre deve leggere la Bibbia per almeno un’ora al giorno. Perché se è una sfasciona è solo e soltanto perché ha voltato le spalle a Gesucristo! …ma non è l’unica.

Innumerevoli sono i prodotti della DC (e della Chiesa Evangelica) che hanno compiuto il medesimo percorso. Calcare le scene con ancora il pannolino addosso, far fare palate di soldi ai genitori, battere ogni record d’incasso, promuovere i sani valori cristiani, crescere, perdere pubblico, scandalizzare con la svolta sexy appena maggiorenni e sbottare.

Yo quiero fumaaaar mota!

Lo ha fatto Lindsay Lohan, la ragazzetta carina con le lentiggini del remake di HERBIE, IL MAGGIOLINO TUTTO MATTO (Disney) e che ora che è adulta, colleziona più arresti e risse del peggio gangsta rapper. Lo stesso è stato per Miley Cyrus… tanto odiosa, quanto prodigiosa, che dopo l’immancabile svolta sexy è stata beccata intenta a spipazzare un bong!

CONCLUSIONE Si potrebbe obiettare asserendo che questo folle gioco al massacro, non è del tutto originale. Si potrebbe dire che indipendentemente dalla Disney, ogni volta che un bambino diventa ricco e famoso in tenera età, è destinato a vivere una vita da sfascione.

Drew Barrymore per esempio, la bambina di E.T., a dodici anni era già dipendente da alcol e cocaina. Maculay Culkin, il bambino di Mamma ho perso l’aereo, tanto carino da diventare l’attore-bambino feticcio del mondo intero, a soli 15 anni era un uomo povero (il padre aveva sperperato ogni suo centesimo) depresso, esausto che decise di ritirarsi dalle scene e da allora non ne è più emerso. Stiamo parlando di mega disadattati, dunque. Ma se da un parte quel finto-buonista di Steven Spielberg, padrino di Drew Barrymore, ha fatto il possibile per “salvare” la sua pupilla, (famoso è l’episodio in cui Spielberg sgridò Drew, per aver posato nuda su Playboy) la DC invece, se ne strasbatte il cazzo ed una volta spremuti a dovere, lascia i suoi prodotti allo sfascio perché gli conviene così. Ma non è il bieco sfruttamento delle baby-star da parte dei genitori e della DC, a rendere questa storia abominevole (come un centipede umano), ma bensì il CALCOLO.

Sì, amici miei… tutto questo è voluto dalla Chiesa Evangelica che può così prendere ad esempio le Britney, le Lidsay e le altre sfascione a mo’ d’esempio per le future generazioni cristiane. ...e sta in questo la mia ipotesi di complotto: La DC (Disney Channel) in collaborazione con la Chiesa Evangelica, creando delle star ad hoc, vende sesso e pedofilia facendo finta di niente e fa un sacco di soldi. Sfrutta i suoi prodotti (negandogli infanzia e adolescenza “normali”), fino al punto di farli diventare dei disadattati del cazzo, in modo tale che, una volta “rotti”, si possa dire che è perché hanno fatto l’errore e l’abominio di abbandonare i binari delle cristianità e i saldi valori americani. …insomma, come Adamo ed Eva che colsero il frutto della conoscenza, come Icaro che si spinse a volare verso il sole. Il punto è questo: volta le spalle a Gesucristo e sei fottuto, tu sei una merda e tale devi restare. Merda.

Fine


II/ L’ANELLO DELLA PUREZZA

II/ L’ANELLO DELLA PUREZZA

Pedo-pornografia, matrimoni precoci, malattie sessualmente trasmissibili, sesso anale: sono solo alcune delle pratiche adotatte dagli adepti de “THE SILVER RING THING”!

Seconda parte di THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

In principio vi era la Chiesa Evangelica che negli anni Novanta lanciò il movimento “TRUE LOVE WAITS”, che poi divenne “SILVER RING THING” col nobilissimo obiettivo di preservare i giovani dalle gravidanze precoci e dalla malattie sessualmente trasmissibili. Come? Predicando l’astinenza prima del matrimonio.

L’anello della purezza (o purity ring) è una piccola fede d’argento che simboleggia la promessa fatta a nostro signore Gesucristo, di rimanere vergini fino al giorno in cui si convolerà a nozze.

Un cavillo per la verginità: sesso anale per le figlie di Maria!

Alcune scuole confessionali americane, tipo quelle che non insegnano l’evoluzione darwiniana a favore della teoria creazionista, in passato hanno promosso ed esercitato molta pressione (sponsorizzati dal Governo Bush) sulle allieve affinché indossassero l’anello.

Eppure, è provato scientificamente che l’anello della purezza non serva ad un emerito cazzo, perché la gente che lo indossa è stupida.

Come si può leggere in un interessante, nonché smerdatorio, articolo sul Washington Post del 2005, che riporta l’esito di uno studio durato 18 anni e che ha visto la partecipazione di 20.000 volontari, con l’anello della purezza al dito.

Ne è emerso che il 75% ha violato la promessa e ha fatto sesso prima del matrimonio, ma ne è emerso anche che sebbene l’astensione possa aver evitato in minima parte gravidanze precoci (favorendo nello stesso momento matrimoni precoci e divorzi precocissimi), ha però creato una generazione di ignoranti, privi della benché minima nozione in merito all’educazione sessuale e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.

É provato infatti che, essendo stupidi e pensando che per astensione s’intenda solo ed esclusivamente il sesso vaginale (che provoca al rottura dell’imene e possibili gravidanze), le giovani ragazze evangeliste con l’anello della purezza al dito, non perdano tempo a far parecchi pompini e parecchio sesso anale non protetto, ergo, mucose piene di micro-lesioni come se fossero strisce di zebre e batteri fecali come se piovesse.

La Disney non si è mai fatta questi problemi, anzi… punta molto sull’immagine pulita-acqua&sapone delle sue baby-star e non c’è singola intervista in cui non salti fuori l’anello della purezza e la promessa di castità. La summa è che ogni volta che una baby-star Disney apre bocca, parla di sesso ed è un po’ come dire ad una persona che soffre di vertigini, che s’improvvisa funambolo, di non guardare sotto.

Dì ad un adolescente in pieno sconvolgimento ormonale o ad un uomo arrapato, la parola “vergine” e lui penserà subito a mutandine bianche ed una vagina da deflorare. É matematico.

Da questo punto in poi, da quando cioè le baby-star della Disney, non sono più “baby” e hanno fatto la loro promessa, la cosa un po’ si complica. La prima ragione è che oramai sono diventati adulti, si sono emancipati e hanno intrapreso (motivati e punzonati dai genitori manager) una carriera fuori dalla Disney, ma comunque dentro la Chiesa Evangelica, perché ahimè, da qui in poi si farà sempre più fatica a capire se ci sia poi una reale differenza tra la Walt Disney Company e la Chiesa Evangelica, ed è per questo che ho deciso simpaticamente di chiamare The Disney Channel, la DC. Anche se c’è da dire che, rispetto agli Evangelisti americani, la nostra Democrazia Cristiana sembrava composta da dei black blocks spacca madonne.

Il secondo elemento che va a complicare la faccenda è che, vada per la castità e la purezza, ma questi giovani uomini e donne straordinari, dovranno pur avere una vita apparentemente normale. Dai… il fidanzatino ce l’hanno proprio tutte! Pure le scronde e le figlie di Maria!

Ed ecco che la Disney, come il chirurgo pazzoide di Human Centipede, come il Dottor Frankestein e anche un po’ come Mengele cosa fa? Gioca con i corpi e le vite dei propri prodotti, perché non gliene frega un cazzo se Britney Spears ha firmato per una multinazionale e vende milioni di copie. Britney Spears è un prodotto Disney, è cresciuta nella Disney ed è stata educata secondo i dogmi della Chiesa Evangelica. Britney Spears è figlia di Topolino e da brava figliuola, fa quello che le dice il topo e guarda caso, si mette assieme ad un altro prodotto della Disney, che accidentalmente proprio in quel momento è in vetta alle classifiche con la sua boy band.

La fidanzatina d’America che s’innamora del fidanzatino d’America ed insieme aspettano il matrimonio, illibati e innamorati di Gesucristo.

Britney Spears si fidanza con Justin Timberlake, che per non farsi dare dello sfigato, a domanda «É vero che Britney è vergine?», lui risponde «Non posso rispondere a questa domanda, so solo che la sua bocca non lo è...». Grazie Justin, grazie davvero! Grazie per essere stato così carino nei confronti di quella ragazza che ami e rispetti così tanto, da non voler macchiare il vostro sentimento, con dello squallido sesso vaginale. Leggi: Britney Spears bocchinara.

E come Britney, c’è stata Jessica Simpson con Nick Lachey, o uno dei Jonas Brothers (dalla serie della DC omonima) con Selena Gomez (da I MAGHI DI WAVERLEY)Zac Efron con Vanessa Hudgens (entrambi di HIGH SCHOOL MUSICAL, lungometraggio della Disney), ecc. ecc.

Le loro storie, che ricordano tanto quelle unioni tra nobili imparentati, nate fin dai primi anni dell’infanzia intanto che ballavano e cantavano al Mickey Mouse Club, vengono seguite, sezionate, coreografate e scenografate davanti ai media di tutto il mondo ed esse stesse diventano spettacolo, alimentato dalla morbosità e della curiosità legata alla sessualità (orale et anale) della coppia.

Fino al giorno del matrimonio… in cui finalmente il pene può entrare nella vagina ed è subito reality.

La favola volge alla fine, Barbie e Ken si sono sposati e i due novelli sposi vivono felici e contenti. Le bambine hanno visto la cerimonia nuziale, l’abito bianco e il bacio in chiesa. Hanno visto la luna di miele in qualche paradiso tropicale. Hanno visto infine, le loro beniamine struccate, appena sveglie nel letto di un albergo di lusso. Persone normali, che vivono vite normali e si sposano come le persone normali.

E adesso? Dopo il matrimonio? Cessato il clamore derivante dalla loro verginità? Come possono Britney Spears e Jessica Simpson proseguire una carriera, che fino ad allora era costruita intorno alla loro sessualità?

Dopotutto nessuna bambina voleva la sfigatissima Barbie “Famiglia del Cuore”!

Fine Seconda Parte


THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

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Un chirurgo pazzoide in pensione, che s’è fatto la villa a furia di dividere gemelli siamesi, decide di portare avanti un folle progetto e cioè quello di creare un centipede umano. Asportando le rotule ai malcapitati ed obbligandoli così a carponi, cuce la bocca all’ano di chi sta davanti nella sequenza, creando così un lungo tubo fatto di bocca-culo-bocca-culo-bocca-culo. La sua idea è quella che, in assenza di risorse, nutrendo solo il primo, gli altri possano sopravvivere alimentandosi dei suoi escrementi e così via… Schifo? Sì, ma è solo la trama di un brutto film (The Human Centipede), ciò che sto per raccontarvi invece è la pura realtà.

Questa è la la storia del progetto più lucido, criminale e riuscito dei nostri tempi, tanto evidente, chiassoso e colorato da diventare invisibile. Sto parlando di THE DISNEY CHANNEL (da ora la DC) e della sua fame insaziabile di esseri umani. La DC, moderno Dottor Frankestein, che taglia, cuce e gioca al demiurgo, con i corpi e i genitali delle sue cavie con l’unico e meschino obiettivo di far soldi, attraverso la paura e i dogmi cristiani.

Ma iniziamo dal principio…

C’era una volta la Walt Disney Company che investì circa 30 milioni di $ per avere una tivì tutta sua, la DC per l’appunto, che iniziò le sue trasmissioni nell’Aprile del 1983, con il MICKEY MOUSE CLUB (che era una specie di “Non è la Rai”, ma coi bambinetti che cantano e ballano), una manciata di vecchi film classici ed una serie ad hoc dal titolo KIDS INCORPORATED, che racconta la storia di un gruppo di teen-idol, che devono destreggiarsi tra l’incredibile fama e la loro voglia di vivere una vita semplice.

Dopo pochi anni rivoluzionano il MICKEY MOUSE CLUB, che diventa THE ALL-NEW MICKEY MOUSE CLUB, ma rimane una specie di “Non è la Rai” coi bambinetti che cantano, ballano e che diventerà famoso, per aver assunto e sfruttato (arricchendo i loro genitori) tizi del calibro di Christina Aguilera, Justin Timberlake e Britney Spears.

Nel 2004 circa, la DC cambia target, pedinando il suoi primi fans (ormai adolescenti), diventa un canale di talent scouting che manda in loop trasmissioni e roba promozionale, per lanciare i propri prodotti.

Prendiamo una serie televisive come RAVEN del 2005Vedremo che la DC tende a chiamare i protagonisti con lo stesso nome di battesimo degli attori (e non è un caso). La protagonista di RAVEN, giustappunto si chiama Raven-Qualcosa e per intenderci è Olivia, la bimba dei Robinson, cresciuta e decisamente formosa.

RAVEN, nella serie, è una ragazzetta che prevede il futuro e deve destreggiarsi tra il suo incredibile potere segreto e la sua voglia di vivere una vita semplice.

Breve nota biografica. Raven-Qualcosa LAVORA nello spettacolo dall’età di due anni. Nata nel 1985, ha già girato 13 film, 4 serie (per un totale di almeno 200 episodi), è apparsa in altre 7 serie, sa recitare, cantare, ballare ed è pure coreografa, perché la DC vuole artisti a tutto tondo!

Ama la musica di Hannah Montana e London Tipton, entrambe personaggi di altre serie originali della DC, ovvero HANNA MONTANAZACK & CODY AL GRAND HOTEL e dello spin-off ZACK & CODY SUL PONTE DI COMANDO.

Raven comparirà come guest star in alcuni episodi crossover.

Altro crossover (e questa volta triplo!) in una puntata di ZACK & CODY SUL PONTE DI COMANDO, in cui compaiono sia Hannah Montana, che i protagonisti di un’altra serie della DC, ovvero I MAGHI DI WAVERLY che racconta la storia di una famiglia di maghi, che devono destreggiarsi tra i loro poteri segreti e l’incredibile voglia di vivere una vita semplice.

Altra serie di successo: HANNAH MONTANA in cui Miley Cyrus interpreta Miley Stuart (stesso nome di battesimo), una ragazzetta normale, che di notte fa la pop star, indossando una parrucca bionda e che deve destreggiarsi tra le mille difficoltà derivate dalla sua falsa identità (Hannah Montana, appunto), in contrapposizione alla sua voglia di vivere una vita semplice.

Nella serie c’è anche suo padre (che è anche il manager di Hannah Montana e per non farsi beccare indossa dei baffi finti!) e pure la sorellina piccola in qualche episodio. In tutto questo la madre (reale) è manager sia di Miley che del padre.

Facendo un resumé…

Alla base delle serie della DC, c’è un’unica idea, ovvero la storia di pre-adolescenti (o gruppi di adolescenti) che hanno qualcosa che li rende unici, ma mentono alla plebe per vivere una vita normale.

Le serie della DC vengono interpretate da baby-star che non hanno mai avuto una vita normale e che da quando sono in grado di tenere dritta la testa sul collo, recitano, ballano, cantano e studiano per farlo, come piccoli atleti che manco vanno a scuola, perché hanno un tutor che li segue in tournée.

I protagonisti delle serie della DC hanno lo stesso nome delle baby-star che l’interpretano e compaiono da una serie all’altra, in un complesso gioco di citazioni, crossover, cammei e scatole cinesi che portano TE, innocente creatura che guardi la TV, a credere che quel mondo esista davvero.

Ad ogni serie della DC corrispondono un paio di album (cantati dai personaggi della stessa), merchandising, videogiochi, linee di abbigliamento, profumi ecc…

Interessante è il caso di Miley Cyrus che è andata in tour come Hannah Montana (ovvero con la parrucca bionda), è stata seguita passo-passo dalle telecamere e ciò che ne è emerso è stato il film di Hannah Montana, in cui un personaggio di fantasia si esibisce davanti ad un pubblico reale e quantomai confuso, composto da bambine urlanti, peluches, lacrime e tiepidi ormoni pre-puberali.

Breve nota biografica: MILEY CYRUS, figlia di un cantante country e della sua manager, non ancora sedicenne, conta 10 lungometraggi, 10 serie, 3 tour mondiali e 4 album.

Abbiamo visto che nel 2004 circa, la DC si è evoluta e si è adeguata ai suoi fans che crescevano e diventavano adolescenti, ma dopo la pubertà? Cosa ne è degli ex enfant prodige e del loro pubblico? Come si comporta la DC coi ragazzi e le ragazze a cui è cresciuto il pelo pubico?

Fine Prima Parte


“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

Articolo orginale qui

Recensione di “Brucia la vecchia”

28 Febbraio 2020

Ciao amici, lo so lo so, è da un pò che non vi tempesto di recensioni e vi sto mancando :p ma tra questa pandemia dettata dal Coronavirus -che ha portato a tenermi a casa Carlotta- e la ristrutturazione della casa nuova, mi sono trovata più occupata del solito però finalmente posso parlarvi di questo stupendo quanto triste libro.

Ho iniziato questo libro una mattina mentre facevo colazione in un bar della mia città e poi ho proseguito la lettura nel mio lettone, di sera, dove il silenzio e la calma creavano il perfetto ambiente di lettura.

In questo libro troviamo Nilde, un’adolescente che vive a Colle Torto, un paesello tra le montagne, insieme ai suoi nonni materni.

E’ li che un’estate arriva Alberto, buio ragazzo di città che porta un’aria di freschezza in quella vita triste e monotona della protagonista portandoli ad amarsi visceralmente e fondersi tra i primi rapporti e sinceri sfoghi giovanili ma tutto questo, insieme alla fine dell’estate, tramuta in uno shock enorme per la protagonista che viene a scoprire di aver un padre ovvero l’assassino di sua madre che ora ha scontato la pena e vuole conoscerla.

Cade così il mondo per Nilde ma non si scoraggia e decide di scoprire la verità sul passato di cui non ha mai sentito parlare; così facendo incontrerà persone diverse, mutate ma accomunate da sua madre, Alice ma dove condurrà questo intreccio di vite?

Leggere questo libro è stato come tornare adolescente…rivivere la mia gioventù nel mio paesello d’origine dove venivo sempre guardata ed etichettata perché diversa quindi è stato automatico, viscerale rivedermi in Nilde e sentirmi subito affine a questa protagonista.

Man mano che la storia prosegue, si scopre il passato dei personaggi collaterali che si intrufolano nella vita della protagonista sviscerando tante dinamiche e tante situazioni particolari che gli hanno condizionati a tal punto da strapparsi via le emozioni più belle della vita e tutto quanto perché un enorme senso di colpa gli attanaglia.

Nella storia vi è presente anche la tematica della sessualità mostrando come possa esser ricca di sfaccettature e come essa sia parte della vita di tutti noi; questo potrà sembrare particolare  ma io trovo che l’autrice abbia fatto capire quanto essa non debba esser un tabù ma vada apprezzata e considerata come un normale aspetto della vita di tutti noi sia che fossimo degli adolescenti sia che ci aspetti dietro l’angolo la pensione.

Un alto aspetto che emerge riguarda i segreti…segreti forti, atroci, violenti e vulcanici tanto da paralizzare le vite e congelare il cuore portandosi anche all’autolesionismo.

Segreti che condizionano, segreti che una ragazzina viene a scoprire e che affronta con la forza di una donna riuscendo a disarcionare dogmi e regole sociali affrontando scoperte anche brutali ma sapendo discernerle.

Inoltre ci si trova faccia a faccia con la depressione, con quella malattia che tanti rinnegano e quasi tutti evitano di affrontare.

Valeria mostra la depressione, la mette su un piedistallo e ci dice <<Guardatela! Capitela, o almeno non mettevi la benda sugli occhi!>>; ecco…queste pagine ci danno la possibilità di vederla, di affrontarla anche o almeno di venirne a conoscenza. 

Di Nilde vorrei avere la forza, la capacità totale di esser se stessa, di seguire ciò in cui crede e di pensare totalmente con la sua testa ma soprattutto la sua capacità di perdonare e dare un’altra possibilità.

Infine l’autrice, attraverso i vari personaggi, ci mostra come dietro a ognuno di noi ci possano esserci segreti, malvagità e finzione; ci viene palesato l’opportunismo, la gelosia, la violenza, la droga, la mancanza di dialogo e di sostegno.

In un certo senso ha raccontato buona parte delle schifezze della nostra società sottolineando quanto i silenzi e i segreti siano macigni enormi quindi…viva il dialogo e viva la sincerità.

Ora tocca a voi ragazzi…Brucia la vecchia vi aspetta!

Vi abbraccio

La vostra Ele

“BRUCIA LA VECCHIA” SU THE BOOKISH EXPLORER

“BRUCIA LA VECCHIA” SU THE BOOKISH EXPLORER

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Brucia la Vecchia: Attitudine punk, femminismo e memoria del cuore si mescolano nel nuovo romanzo di Valeria Disagio.

Forse non tutti conoscono Valeria Disagio, cantante in svariati gruppi punk, autrice ma anche artista in senso ampio potremmo dire. Dopo svariate attese finalmente ho messo le mani sul suo nuovo libro: Brucia La Vecchia.

In questo nuovo libro, edito da Bookabook tramite crowdfunding, Valeria ci porta in un piccolo paese di montagna per conoscere Nilde. La protagonista è una giovane dall’animo complesso che vive con i nonni. Quel che ancora non sappiamo, e nemmeno Nilde sa, è che la sua vita è stata costruita su un dolore immenso ma anche sulle menzogne.

Ed è in una sera d’estate che prende vita l’avventura di Nilde alla ricerca della verità. Così la ragazza si ritroverà in città a scavare tra i ricordi di quattro persone diverse, mentre lei stessa scava dentro di sé. Farà bene a scavare? O la scoperta della verità sarà traumatica? Non ci resta che seguire Nilde avventurarsi dentro la pancia della città e della memoria.

Si parla anche del mondo, della nostra società, di donne e di tradizioni. E di come tutto venga consumatofagocitato dalle leggi della società per bene. Quella borghesia perfetta, quel capitalismo che ci strappa dalla natura e da noi stessi: anche questo sarà il percorso di Nilde.

E in un finale non scontato scopriremo anche noi la verità e potremmo dire metaforicamente: Brucia la vecchia. Facendo sempre il tifo per questa giovane alla scoperta della vita.

INTERVISTA SU VIVAMAG (Feb. 2019)

INTERVISTA SU VIVAMAG (Feb. 2019)

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Valeria nasce un lunedì di pioggia del novembre del 1982 a Varese. Diventa “Valeria Disagio” sull’orlo estremo tra l’adolescenza e l’età adulta. Ha esordito giovanissima con il romanzo “Casseur: la lotta, l’ebbrezza e la Città Giardino”. Poi ha perso parecchio tempo nella precarietà del lavoro e nell’inquietudine politica. Ha scritto molti racconti, pamphlet e poesie. Ha gestito un blog – da cui è nato il libro “Discount or die” edito dalla Nottetempo -, ha curato fanzine e cantato in collettivi punk. Ha intenzione di continuare a fare tutto questo…

Ciao Valeria… Dobbiamo chiamarti “Disagio” o come?

Ah, Disagio va benissimo! È uno pseudonimo nato per puro caso, ma ormai mi ci sono affezionata! Dice molto di me e di come mi pongo nei confronti di ciò che mi circonda! Non volevo usare il mio cognome su Facebook e allora ho messo l’appellativo che usavo quando lavoravo nel sociale e dovevamo mappare l’utenza ma senza violarne la privacy. Allora al posto dei cognomi mettevo “disagio” come cognome…. Lorenzo Disagio, Silvia Disagio…. E così via. Col passare del tempo, il fatto di sentirmi a disagio rispetto a ciò che mi circonda, per me è diventato un manifesto. Qualcosa che ha costruito la mia identità e personalità in risposta agli stimoli e le bastonate esterne.

Vuoi raccontarci del tuo rapporto con la scrittura?

Ho sempre scritto. Da quando ho imparato a farlo. All’inizio era una valvola di sfogo. Ho iniziato a scrivere per rabbia perché i miei non mi avevano fatto entrare ad una festa di Radio Lupo Solitario perché ero troppo piccola! E per me, ai tempi, Radio Lupo solitario era tipo la cosa più meravigliosamente incredibile del mondo. Ricordo che io e la mia amica Oriana, sentendo tutte le pubblicità dei negozi di Gallarate, andavamo in pellegrinaggio lì, credendo che fosse davvero il centro del mondo e l’ombelico del punk-rock! In ogni caso, scrivere, è qualcosa che ho sempre fatto. In forme diverse. In modalità diverse. Dallo sfogo emotivo è diventato qualcosa che ho imparato ad addomesticare e controllare e che mi fa star bene. Mi diverte fare. Una sorta di puzzle o rompicapo quando si tratta di una scrittura “strutturata” come per canzoni che devono stare in una metrica o se devo inventare un claim / payoff per lavoro o se devo stare in un determinato numero di caratteri per i social. La narrativa, invece, è un altro discorso. Lì non ci sono limiti. Io ho delle vaghe idee in testa. Un concetto o qualcosa che vorrei raccontare. Mi metto lì davanti ad un foglio e so che ad un certo punto comincerò a scrivere e la storia verrà fuori un po’ come in un processo automatico e sensibile. Che rapporto ho? Vorrei poterlo fare sempre e in modo regolare. Con tutto il tempo che serve, ma purtroppo al momento o scrivo per lavoro o scrivo la sera (o di notte) dopo 9 ore in ufficio.

Il tuo esordio letterario è stato con il romanzo “Casseur: la lotta, l’ebbrezza e la Città Giardino”. Che ricordi hai di quel libro e di quel periodo della tua vita?

Ho dei ricordi assurdi e confusi. Ero così giovane e “Casseur” era nato per caso, assemblando tutto il materiale che avevo scritto praticamente dai 15 ai 18-19 anni. Dopo molto, per strani incroci del destino, è stato pubblicato che ne avevo 23 o 24. In verità volevo scrivere un libro da regalare alle mie amiche a Natale per raccontare i nostri 18 anni (la fine delle scuole superiori, il G8 di Genova e i primi drammi di cuore…). Lo mandai ad un collettivo di lettori, “iQuindici”, una costola dei Wu Ming e loro se ne innamorarono. Dopo averlo proposto ad una serie di piccole case editrici che ai tempi erano sensibili a certi temi e certe pratiche (come il copyleft), hanno trovato un editore che me lo ha pubblicato. Le cose non sono andate benissimo dal punto di vista umano con l’editore (cosa che mi accade ciclicamente!) e quindi ho interrotto i rapporti professionali e umani. Ai tempi credevo davvero che avrei fatto la scrittrice di lavoro e che pubblicare un romanzo fosse il primo passettino di un futuro certo e stabile nel mondo dell’editoria. La critica aveva reagito in modo molto positivo. Ma poi, finita l’università, ho passato anni e anni a lottare contro la precarietà professionale, casini personali e pur non avendo mai smesso di scrivere, purtroppo, ho relegato la scrittura ai rari ritagli di tempo che riuscivo a salvare dal delirio della quotidianità. Sentendomi magari in colpa perché rubavo il tempo alla gestione della casa o ai rapporti con le persone che avevo attorno. Però ho continuato a fare parecchie cose, sempre a caso! Fare cose a caso è la mia cifra stilistica!

Tempo dopo hai trasferito la scrittura sul web (il blog “discount or die”) ma poi è nato anche un libro/guida cartaceo sui prodotti da discount. Vuoi parlarcene?

Ecco… “Discount or die” è la prova più lampante e concreta di come, spesso, le cose mi accadano senza che io le vada a cercare. Il blog è nato come una goliardata tra amici. Ai tempi ero super squattrinata e studiavo copywriting e scrittura creativa allo IED (mi sono potuta permettere lo IED solo grazie a dei soldi ricevuti come risarcimento per la tragica morte di mio nonno in un incidente!) e ad una certa c’era questo art director della Ogilvy che ci ha fatto una lezione sul concetto di invertising, ovvero un nuovo modo di concepire la pubblicità ai tempi dell’internet. L’idea è quella che in un’epoca in cui siamo tutti connessi non ha più senso dire che ciò che vendo è bello o buono o santo, perché tanto i “consumatori” – concetto che lui rifiutava, per giunta. Così come rifiutava tutto il gergo militare o di guerra che si usa nella pubblicità o nel marketing – parlano tra di loro, creano comunità virtuali di scambio reciproco e prima di comprare cercano sul web il parere dei loro “pari”. Ed è per questo che oggi la pubblicità ti deve vendere un bel pacchetto di valori e elementi identitari, associandoli ad un prodotto. Far innamorare di un prodotto o meglio, di un brand, perché quel brand parla di noi, di quello che proviamo, di quello che sentiamo, di quello che vorremmo essere. E allora lì mi sono detta: basta vergognarsi di essere poveri e precari, rivendichiamo il discount e il nostro rifiuto (nato anche dalla necessità) di credere che spendere tanto sia necessariamente figo! Basta con la ricerca affannosa della ricchezza a tutti i costi e della realizzazione personale attraverso l’accumulo di carta-moneta! Poi, ai tempi, gestivo insieme al mio compagno un cineclub con baretto annesso e ci divertivamo a recensire birre di merda o snack assurdi proveniente dal mondo delle sottomarche.

E le fanzine? Ricordo quella fotocopiata che girava per Varese… Come si chiamava? “Nihilismi”!

Oh, merda… manco mi ricordo come e quando sia nata! Sicuramente eravamo al cineclub Domenica Uncut e sicuramente eravamo ubriachi. Poi il giorno dopo mi sveglio e la mia dignità (o tentativo di preservarla) mi fa mantenere fede alle promesse fatte o i progetti annunciati da ubriaca. “Nihilismi” è stato qualcosa del genere. Presumo. Era divertentissima e molto libera e trash. Si andava dalla saggistica (come la guida al diritto d’autore o allo squirting) alla narrativa distopica. Grandi firme. Grandi pseudonimi. Io mi firmavo Barbra Streisand e Jessica Fletcher! Se non fossi la cazzona autosabotatrice che sono, Nihilismi avrebbe potuto benissimo essere l’antesignano di “Vice” però meno furbo e più votato al non-sense. Ma come si è capito, credo, faccio spesso cose a casaccio e quando capita di imbroccarne una, faccio il possibile per farla andare male!

Per un periodo sei stata la front-woman di una band punk che ha girato tutta Europa. Cosa ci dici a riguardo?

Sono stati anni bellissimi e intensi. Cantare per me è stato qualcosa di… passami il termine: “mistico”. Mi ha rimesso in contatto col mio corpo, la mia femminilità e la percezione dello spazio che occupo nel mondo. La scena punk è meravigliosamente sconclusionata, irruente e sincera come me. Così sincera che troppo spesso ci si dimentica che ci sono verità convenienti e verità distruttive. Io ho scelto sempre di essere sincera, anche a costo di fare e farmi del male e, nel momento in cui non potevo più esserlo, ho capito che dovevo fare un passo indietro. Suonare in un gruppo punk, fare parte di un collettivo, è qualcosa che va fatto solo e soltanto se si è convinti al 100% o se si vive in un contesto abbastanza resiliente in grado di mettersi sempre e comunque in discussione. Per varie vicissitudini politiche e personali avevo bisogno di farmi da parte, scendere dal palco. Al momento, timidamente e in punta dei piedi, sto mettendo su un altro gruppo. Non abbiamo ancora un nome e abbiamo provato solo poche volte (anche perché c’è di mezzo il mio compagno, nonché chitarrista dei Drunkards, che vive a 300 km da qui), ma prima o poi tornerò a girare e cantare sicuramente.

Vuoi parlarci di “Brucia la Vecchia”?

Tra tutte le cose assurde e controproducenti e potenzialmente dannose che ho fatto nella mia vita, mi è capitato di scrivere diversi romanzi. Alcuni sono stati pubblicati e altri no. “Brucia la vecchia” per esempio, rientra nella seconda categoria e ho deciso di provare a farlo attraverso Bookabook, una piattaforma di crowdpublishing. Ché significa che non sarà un editore a scegliere se questo romanzo merita o no di finire nelle librerie, ma la comunità di lettori che si costruirà attorno a questa storia. Il libro racconta la storia di Nilde (la protagonista) che vive coi nonni a Colle Torto, un piccolo paese di montagna con le strade strette, tortuose e ghiacciate sei mesi l’anno. Orfana, vegetariana e solitaria, indossa il lutto per la morte prematura e violenta della madre, di cui non custodisce alcun ricordo all’infuori di una pigna di libri consumati, qualche disco e le bugie di nonna Adele e nonno Evaristo. «Mio padre non so chi sia. Credo sia un pezzo di cane che ci ha abbandonate» racconta. Eppure sarà una lettera di quel padre sconosciuto a svelare una menzogna lunga quindici anni e a catapultare la giovane Nilde indietro nel tempo, a quell’inverno in cui Lisa morì per mano dell’uomo che amava. Da qui inizia un viaggio fatto di verità nascoste, vite interrotte, sensi di colpa attraverso gli occhi spietati di una sedicenne a cui tocca il compito di giudicare, condannare e liberare dai peccati quegli adulti responsabili (direttamente o indirettamente) della morte di Lisa Malatesta. Sua madre. Come è nato questo libro? È nel 2009 che ho scritto la parola “fine” alla prima versione del romanzo. Da allora ho avuto a che fare con numerosi editori, agenti e neo-mecenati che mi hanno proposto di tagliare di qua, modificare di là, riscrivere e rielaborare per rendere la mia storia più pubblicabile, vendibile a attrattiva. La cosa però non è mai andata a buon fine. Perché insisto? Perché credo in questa storia e nel mio lavoro. Ho scritto “Casseur” che avevo 18 anni. È stato pubblicato che ne avevo una ventina. Da allora non ho mai smesso di scrivere anche se ben poco di tutto ciò che ho prodotto, ha visto la presunta legittimazione di un bollino Siae e di un codice a barre. Le mie parole hanno trovato casa, però, in fanzine fotocopiate e semi-regalate su tavoli sporchi di birra durante i concerti. …e hanno trovato casa nel web, raggiungendo molte più persone di quanto abbia fatto col mio primo romanzo. Ho deciso di usare una piattaforma di crowdpublishing per sperimentare quella che da molti viene considerata una legittimazione dal basso, anche se io preferisco parlare di orizzontalità. No, non è editoria a pagamento che mi fa abbastanza ribrezzo. E non mi sto manco pubblicando il libro da sola implorando la gente di prendere una copia per rientrare nelle spese. La vedo come una sfida! Le regole sono semplici. Ho 100 giorni per raccogliere 250 pre-order del mio romanzo. Ora sono al 41% e mancano un’ottantina di giorni. Se ottengo questo risultato “Brucia la vecchia” verrà pubblicato. Altrimenti chi lo ha prenotato riceverà la sua copia in tiratura limitata e tanti saluti, pacche sulle spalle e facciamoci una bevuta insieme quando ci vediamo. Ah, e poi c’è che mi galvanizzo tutta per le sfide e il mettermi in gioco e avere “l’ansietta adrenalinica” del buttarmi a fare cose a casaccio, e questa roba lo è senza dubbio.

E di “I mortificatori”?

Atra cosa nata a caso. Ho letto “On Writing” di Stephen King e lo ho trovato illuminante. Il sottotitolo è “il mestiere di scrivere”. Nel libro Stephen King racconta la sua vita come scrittore. Da quando, con dodicimila figli, pochi soldi e un lavoro di merda, scriveva nei ritagli di tempo. Della frustrazione dei rifiuti da parte delle case editrici. E del fatto che la moglie abbia raccattato “Carrie: lo sguardo di Satana” dal cestino della spazzatura perché credeva in lui e in quella storia. Quel libro distruggeva e dissacrava l’idea dell’artista tormentato, ingestibile e in balìa dell’ispirazione. Leggendo quel libro ho scoperto che scrivere è prima di tutto un mestiere. Non è solo talento o fortuna, ma l’impegno quotidiano e costante. Un vero e proprio mestiere artigiano. E allora ho provato ad applicare quel metodo (scrivere sempre, tutti i giorni, tot battute al giorno e al massimo poi cestinare e molte altre cose) e ho scelto la struttura del romanzo di genere proprio come sfida. Volevo stare dentro a quelle regole. Non scrivere più solo quando stavo male per sfogarmi, ma farlo con metodo e così ho imparato a farlo divertendomi. Così è nato un horror – noir divertente che uscirà il giorno di San Valentino per Agenzia X

Cosa ne pensi del futuro della carta? Hanno ragione quelli che la danno per morta?
No, non credo proprio. Credo anzi che potrebbe accadere quello che è successo per la musica. Basta produrre libri di merda e sprecare alberi per un cazzo. Che il libro torni ad essere un oggetto prezioso e da amare come un bel vinile! Per il consumo becero e massificato ben venga il digitale!
Tornando a Nihilismi… avevo appunto scritto un articolo che si chiamava dalla Dittatura della materia al feticcio del supporto.

I tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare a fare ciò che ho sempre fatto. Cose a caso. Fare cose a caso coi punx della Valle Olona! (vedi alla voce Olona Wasteland Punx)
Ora però devo traslocare. Dopo aver traslocato credo che dormirò un mese.
Poi voglio ricominciare a lavorare con impegno e costanza al mio nuovo gruppo. Scrivere scrivere scrivere. E arrivare al goal della mia campagna di crowdpublishing di “Brucia la vecchia”.

Ho visto Mignonnes ed è come stirarsi i capelli col ferro da stiro.

Ho visto Mignonnes ed è come stirarsi i capelli col ferro da stiro.

Le due locandine del film

C’è chi grida allo scandalo, proprio come quelle madri che coprono gli occhi alle figlie durante l’esibizione delle Mignonnes, perché nessuno vuole vedere delle undicenni così sfacciate, maliziose, allusive o seduttive. Eppure a queste bambine cresciute nei quartieri popolari di Parigi gli si chiede di essere già donne quando devono occuparsi della casa, del bucato o dei fratelli più piccoli. Perché le madri lavorano o stanno allattando il terzo o quarto figlio di quegli uomini di casa che pretendono. Pretendono vestiti puliti, pranzi serviti e pretendono che la madre di Amy accolga (nella stanza migliore) la nuova giovane moglie dell’uomo di casa che sta tornando dal Senegal. Pretendono di scegliere come la moglie e le figlie si debbano vestire in occasione di quel secondo matrimonio imposto, con quell’altra donna mai vista prima, ma che diventerà parte della famiglia. La favorita nella stanza più grande e luminosa. La stanza di una principessa in cui non è possibile accedere dall’esterno. E a queste bambine, che non hanno tempo di giocare, viene anche insegnato che il peccato risiede nel proprio corpo.

E a queste bambine, che non hanno tempo di giocare, viene anche insegnato che il peccato risiede nel proprio corpo.

Quel corpo che inizia a sanguinare e definisce biologicamente e socialmente il loro essere donne in grado di fare figli e quindi pronte per essere date in moglie, avvolte in un candido vestito che cela il loro volto. Ma non è solo questo essere donna. Non è solo sanguinare ed essere fertile. Se c’è un’alternativa a questo dogma culturale, affettivo e biologico di essere donna (peccatrice, sottomessa e con una data di scadenza) bisogna allora assolutamente scoprirne i trucchi, i segreti e i passi giusti da fare per uscire da questo schema che condanna. E dove cercare? Come imparare ad essere una donna cercando dei modelli fuori dalle mura domestiche? Forse su quel cellulare rubato al cugino emissario del padre?

Maïmouna Doucouré, regista di Mignonnes (film francese del 2020 disponibile su Netflix), non ha bisogno di mostrarci come la piccola Amy abbia imparato a ballare twerkando, simulando seghe o succhiandosi allusivamente le dita, perché non ce n’è bisogno. Sappiamo tutti molto bene come veniamo raccontate e rappresentate e come noi stesse sappiamo raccontarci e venderci secondo la legge del mercato, dello spettacolo e del potere.

In Italia Mignonnes è stato ribattezzato “Donne ai primi passi” per quello schifo di vizio che abbiamo di dover tradurre, stravolgere e fare giochi di parole scemi su tutto, nel tentativo di rendere simpatico o comico ciò che comico non è. Perché Mignonnes non è una commedia. Ma proprio per niente. Seppure Amy e le altre risultino ridicole, grottesche o addirittura tenere nei loro tentativi di emulazione e interpretazione dell’essere adulte, così come è ridicolo, goffo e pericoloso cercare di stirarsi i capelli con il ferro da stiro.

Mignonnes è un film pericoloso o malizioso? Non credo. È un bel film come non mi capitava di vederne da molto.

Presentazione di “I mortificatori” in Cascina Torchiera – Maggio 2019

Presentazione di “I mortificatori” in Cascina Torchiera – Maggio 2019

In occasione del loro diciottesimo compleanno, nel maggio del 2019, i My Own Voice hanno chiamato un nutrito gruppetto di pirati, piratesse balordi e visionari a festeggiare con loro in Cascina Torchiera Senz’Acqua, spazio liberato e autogetsito fin dagli anni 90 in quel di Milano.

Con i My Own Voice ci ho diviso il palco parecchie volte quando cantavo nei Kalashnikov Collective, con loro ci ho anche registrato un pezzo e sono soprattutto degli amici.

Vuoi cantare con me un pezzo del nostro prossimo disco? Sì. Ok, vieni a quell’ora di quel giorno al Mob Sound e inventiamoci qualcosa. Ecco cosa è venuto fuori.

In quel periodo ero in giro per presentare “I mortificatori” il mio romanzo uscito il giorno di San Valentino per Agenzia X e ho accolto con entusiasmo l’invito di Marchidda a portare il mio romanzo anche lì, in Torchiera, prima dell’inizio dei concerti.

Ho sempre detestato presentare i miei libri. Ho sempre trovato imbarazzante e sbagliato trovarmi dietro ad un tavolo separata da un pubblico, con un moderatore che rintuzzava quei quattro gatti (generalmente amici, parenti e mezzo giornalista) a farmi domande. Credo di essere sempre stata praticamente sbronza durante le presentazioni dei miei precedenti libri. Ricordo una volta che qualcuno (ai tempi di Casseur) mi fece notare che usavo troppo spesso la parola “cazzo”. Dopo tre Coca e Jack, finita la presentazione, la ventenne che ero firmò tutte le copie scrivendo solo “cazzo”.

Insomma… le presentazioni dei libri mi suonavano come una cerimonia o un sacramento che non mi rappresentavano. Poi è uscito questo romanzo e la gente mi ha chiamato a parlarne in quegli spazi e a quei collettivi con cui ero entrata in contatto grazie ai concerti e alla militanza e ho scoperto che il punk non smette mai di insegnarmi robe. Via i tavoli, via le barriere di separazione. Tutti in cerchio su un divano umido di pioggia e pieno di peli di cane, insieme al mio amico e giornalista Gabriele Nicolussi, abbiamo dialogato insieme alle persone presenti. Ed è stato uno scambio reale. Bello. Sentito e vissuto. Ecco alcune foto. Purtroppo non ricordo il nome del fotografo o della fotografa. Hei, tu, sei l’autore o l’autrice di queste bellissime foto? Caccia un urlo.

Finita la presentazione… no, finito l’incontro, una vecchiettina adorabile che ricordava una cartomante mi ha chiesto di leggerle un brano del libro ed i sono stata lì, con lei, per una decina di minuti intanto che facevano il soundcheck a leggerle come è nato l’amore tra Orso e Adele.

[Brucia la vecchia] Recensione di Inchiostro e Parole

[Brucia la vecchia] Recensione di Inchiostro e Parole

Bellissima e sentita recensione del mio romanzo Brucia La Vecchia edito da Bookabook dal blog Inchiostro e Parole. Grazie davvero. Quando l’ho letta ho dovuto rileggerla più volte e ad alta voce, perché non mi sembrava possibile che una sconosciuta potesse sbrigliare la matassa dietro al mio scrivere.

Recensione

Ho appena finito di leggere il romanzo e sono senza parole. Sto facendo fatica a raggruppare le idee, formulare un giudizio, esprimere un parere. Penso ai protagonisti della storia, quelli della fotografia, e provo un senso di disagio. Penso alle loro vite, alle loro scelte, e sento tanta rabbia e poca compassione. Io non ho necessità di perdonarli, come Nilde; per me non sono l’unica cosa rimasta di un passato mai avuto. Sono sensazioni così forti quelle che provi leggendo “Brucia la vecchia“, che fanno la differenza tra un buon libro e uno mediocre. E io credo che quello di Valeria Disagio sia uno dei più bei romanzi che ho letto negli ultimi mesi.

È una storia che ti arriva dentro e ti scuote; una narrazione che ti trascina nel baratro di queste vite spezzate e perse, e nella ricerca di una verità che si fa sempre più soffocante ma mano che viene rivelata. Ma, soprattutto, è un libro scritto in modo impeccabile. Non amo fare paragoni, ma spesso la scrittura di questa autrice mi ha ricordato quella di Paolo Giordano, soprattutto in “Divorare il cielo. C’è una freddezza, un distacco nel descrivere la vita dei cinque amici, che ti lascia perplessa e proprio per questa sua caratteristica ti colpisce ancora di più. È un raccontare mettendo insieme i fatti (come dice la mamma di Alberto) per arrivare alle ragioni per cui quegli stessi fatti sono avvenuti.

[Per leggere l’intera recensione, che suggerisco fortemente, cliccare qui]

Himizu | Sion Sono

Himizu | Sion Sono

[Articolo originale qui]

Sumida è il nome del fiume che attraversa Tokyo. Navigandolo è possibile vedere lungo i suoi argini, centinai di piccoli rifugi costruiti con materiale di recupero, cassette di legno, rottami e gli inconfondibili teli blu impermeabili che proteggono dalle piogge le abitazioni di fortuna dei senzatetto della città.

Sumida è anche il nome di un quattordicenne che abita con la madre alcolista in un piccolo capanno in cui si noleggiano imbarcazioni, protagonista di “Himizu”, manga di Furuya Minoru del 2000 e poi film diretto da Sion Sono nel 2011. Anno dell’inenarrabile catastrofe del 11 marzo che ha piegato le gambe al Paese. Eppure Sion Sono prova a narrarcela, attraverso la storia di Sumida e del suo piccolo capanno in cui si svolge buona parte della storia. Tra il fiume e l’umile abitazione ci sono solo pochi metri di fango e sassi e più in là, verso l’orizzonte, un altro capanno sommerso per metà dall’acqua. Sumida ed i suoi vicini di casa, alcuni senzatetto a cui lui permette di usare il proprio bagno, spesso indugiano e contemplano il rudere sommerso.

«Mi ricorda quello che è successo» urla uno di loro.
«Lo faremo sparire. Lo toglieremo da lì» lo rassicura il più anziano, un imprenditore che ha perso tutto a causa dello tsunami. Eppure da lì, nessuno lo muove e lì rimane fino alla fine.

Per evidenti ragioni cronologiche il fumetto di Furuya Minoru, pubblicato su Young Magazine tra il 2000 e il 2001, non affronta la questione della catastrofe, ma focalizza la sua attenzione sulla vicenda personale di Sumida e dei suoi amici, cristallizzando le loro vite nell’attimo preciso in cui si stanno preparando al passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in un mondo in cui però non esiste saggezza. Gli “adulti”, quelli che dovrebbero guidare e aprire la strada ai più giovani, sono madri alcoliste e assenti, padri disonesti e violenti, ladri amorali e pederasta bugiardi. Gli amici di Sumida (nel manga) sono Akada con il suo grande sogno di diventare mangaka seguendo le orme del fratello maggiore, ma che ha fretta, troppa fretta. C’è Yoruno, il cui unico sogno è quello di fare soldi ad ogni costo e Keiko Chazawa, ragazza enigmatica e cupa, innamorata di Sumida che invece, di sogni non ne ha e non vuole averne.

L’assenza di saggezza degli adulti, nella trasposizione cinematografica del manga, assume una doppia valenza: quella emotiva e quella sociale. Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli? Le notizie delle evacuazioni, delle contaminazioni nucleari e del disastro dello tsunami, gracchiate dai notiziari accompagnano come un mantra il percorso emotivo e psicologico di Sumida.

La devastazione ambientale, l’assenza di morale, la celebrazione di falsi miti sono come un cappio che i genitori stessi stringono attorno al collo dei propri figli. Come la madre, viziata e psicolabile di Chazawa, che sta costruendo una forca nella sala da pranzo su cui si dovrà impiccare Chazawa.

«Lei è la rovina della nostra felicità» piagnucola la madre intanto che con il padre, vernicia e decora la forca destinata alla figlia.
«Senza di te, andava tutto bene» dice invece il padre di Sumida, biasimandolo per non essere morto da piccolo nel fiume. «Avrei riscosso l’assicurazione se non ti fossi salvato» gli confessa ogni volta che è ubriaco.

L’egoismo dei padri rende insostenibile il confronto con i figli e la loro stessa coesistenza, come se questi ultimi fossero la prova concreta e fatta carne del loro fallimento. E quando lo scontro tra Sumida e suo padre raggiunge l’apice, vediamo i due uomini stesi uno accanto all’altro. Sumida si rannicchia in posizione fetale nella fossa che ha scavato per il padre. Piange ed urla disperato. È immerso nel fango, come neonato ricoperto di placenta che viene dato alla luce dalla terra, pronto ad iniziare la sua nuova vita. Quale? Quella di una personale normale. Un adulto “decente” e onesto, come spesso afferma.

«Non so distinguere il bene dal male» confessa il ragazzo a Chazawa, quando decide di dedicare la sua vita a “ripulire” la città dalle persone cattive, per rendersi utile alla società. Persone cattive e perdenti, come quel ragazzo sull’autobus che, rimproverato da una donna anziana per non aver lasciato il posto ad una donna incinta, reagisce accoltellandola. «Che fine ha fatto la buona educazione?» lo incalza, prima di venir trafitta dal coltello.

Ed è sullo scontro generazionale, sulle colpe degli adulti che ricadono sui più giovani, che Sion Sono decide di raccontare il disastro ambientale (e sociale) dell’11 marzo. Un mea culpa, una confessione di una generazione cresciuta col mito dello sviluppo e della ricchezza, senza se e senza ma, che sta lasciando le rovine di un mondo arido e devastato alle generazioni future.

«Lasciami perdere. Che cosa vuoi? Quello che faccio è una mia scelta» gli dice una donna in biancheria intima, ricoperta di lividi che va a buttare la spazzatura con una catena attaccata alla caviglia. Sul suo corpo nudo c’è scritto “puttana”. Come una società malata, incapace di fare i conti con se stessa, che si crede consapevole e padrona del proprio misero destino.
«Non bisogna arrendersi» urlano Sumida e Chazawa correndo, con le immagini della devastazione del Sendai come sfondo.

Non bisogna arrendersi.