Fiera / Una lingua morta

Fiera / Una lingua morta

Userai le cose fino a quando non saranno consumate.
Attimi tenuti insieme da graffette e colla che non è seme
per questa terra che cancella i passi e cela l’orizzonte.
Suoneranno come una lingua morta e dimenticata
le regole sbiadite dettate da chi ti voleva fragile.


E non chiederai scusa per aver scelto la notte, la lotta,
la saggezza del grembo, la verità dei sospiri
e per i capelli color degli spettri
che hai tagliato a quella bambola
che ti avevano regalato da bambina.

Non chiederai scusa per quella domanda
che ti fai sempre all’arrivo del treno
con gli occhi in bilico sul binario.


Imparerai a cacciare e a curarti da quella gatta
che ha il respiro di tutte le femmine della storia.
Ti nutrirai di ciò che è perduto per sempre,
mangiando solo per mandar giù vino scadente
e accantonerai i libri per ridere con uomini sbagliati.


Lotterai per gli alberi spogli, i marciapiedi infuocati,
il silenzio del tempo che nulla cicatrizza.
Ti chiameranno: fiera.

[Illustrazione di Onki Dayan] 
Non dite a mia mamma che io sono Wolverine, Aprile 2017

Non dite a mia mamma che io sono Wolverine, Aprile 2017

Don’t tell my mom è uno story show ideato da Matteo Caccia che, prima della pandemia, veniva ospitato dal Pinch sui Navigli a Milano, il primo lunedì di ogni mese. Le regole sono semplici: bisogna raccontare qualcosa di vero che non vorresti far sapere a tua madre, deve durare 5 minuti e non vale leggere.

Questo è il mio intervento di un lunedì sera di Aprile del 2016.

Non dite a mia madre che sono una pessima madre….

È dieci giorni che manca la mia adorata gattina di nome Ombra. Ed ogni volta che sento un rumore penso sia lei che è tornata e mi viene un infartino. Abito al piano terra e può entrare ed uscire quando vuole, perché ho deciso che fosse giusto favorire la sua autodeterminazione. La gattaiola simbolo della sua capacità di scegliere con chi e dove vuole vivere. Il fatto che sparisca spesso e volentieri per giorni e giorni, mi fa pensare di non essere la madre migliore del mondo. Sono quel tipo di madre troppo libertaria e troppo poco autorevole forse. E infatti, se non fosse sterilizzata, sarei contenta di sapere che va in giro a copulare e a fare strage di cuori… perché è bellissima. Ma non è così, lei va in giro perché le ho permesso di essere indomita e selvatica. 


Fatto sta che ho capito – ogni volta che sento un rumore e penso che sia lei – quel meccanismo delle madri che prendono a schiaffi i figli che attraversano a cazzo la strada. Ora comprendo gli occhi di rancore e giubilo di mia madre, che mi accoglieva sveglia in salotto quando tornavo da adolescente a notte fonda barcollando o vomitando perché avevo preso freddo. 

È che io ci credo proprio a questa cosa dell’autodeterminazione. E così come non voglio che la paura mi imponga di imbrigliare la mia indomita gattina, così non voglio che la paura mi impedisca di uscire da sola, far tardi e prendere i mezzi pubblici di notte.

Da sola.

Ubriaca la maggior parte delle volte.

Il problema principale del prendere i mezzi pubblici di notte, da sola e ubriaca per tornare in quel di Tradate in provincia di Varese, da Milano.. è che a causa dell’industria automobilistica e dei poteri forti legati all’industria petrolifera, i mezzi pubblici fanno letteralmente cagare – e non uso questa espressione a caso –  e l’ultimo treno è intorno alle 22 che mi porta però fino a Saronno e da lì prendere il bus sostitutivo che fa tutta la provinciale e tutte le fermate della linea ferroviaria. Dopo mezzanotte non ne parliamo… Perché non c’è neanche più il treno fino a Saronno e il bus parte direttamente da Milano Cadorna, per due ore di terrore o noia suprema a seconda di chi sono i miei compagni di viaggio

Una breve parentesi. Mi chiamo Valeria Disagio perché quando lavoravo nel sociale a contatto con parecchi casi umani, dovevo “censirli”, ma sebbene nei moduli che dovevo compilare ci fosse spazio per il nome e il cognome, per questione di privacy non potevo mettere il cognome e così pensando che i miei superiori non avessero gradito se io avessi scritto… che ne so… Matteo il tossico, Federico l’ubriacone o Paola la ritardata… ho optato per un generico e giornalistico “disagio”. Quindi c’era Matteo Disagio, Federico Disagio e Paola Disagio. La cosa fece molto ridere i miei capi che da allora mi chiamarono così, anche per altro motivazioni che non sto qui a spiegarvi… Ma tutti possono essere Disagio.  Un ragionamento analogo l’ho fatto per i miei compagni di viaggio del bus sostitutivo notturno.

Perché non è la nazionalità o il livello di istruzione che fanno l’emarginato. Non importa se proviene da un Paese più o meno maschilista o più o meno alcolista o più o meno devastato dalla guerra… ciò che ti rende un emarginato è il sacchetto.

Fate attenzione. Avete presente quei sacchetti enormi fatti di concentrato di petrolio purissimo, bianchi o azzurri, senza logo? Non li producono dall’86 probabilmente e non ho davvero idea di dove li recuperino. Fatto sta che se vedete uno con un sacchetto gigante, di notte, su un bus sostitutivo notturno, compatitelo o temetelo. Ed è di una gang di sacchettini, sacchettesi, sacchettari…. Non so come definirli… che vi voglio raccontare.

Perché una bella notte in cui tranquilla sedevo sul mio bus sostitutivo, mi sono imbattuta in un gruppo di 5 sacchettesi giovani e alle prime sbronze. Elemento che incrementa in modo esponenziale il fattore coglionaggine. Dico che sono giovani e alle loro prime sbronze perché bevevano Keglevich alla fragola. E chiunque abbia uno stomaco sa benissimo che non è possibile sbronzarsi per più di una volta per generazione con la Keglevich alla fragola.

Ad un certo punto però, i nostri sacchettari al gusto fragola e vomito, mi notano e cominciano ad avvicinarsi. Ed io dentro di me maledico quella mia stronzissima fissazione per l’autodeterminazione che mi ha portato da sola, di notte, su un bus sostitutivo notturno e ripasso come un mantra le tre tesi dell’autodifesa femminista.

Artist: Jenn Woodall

Sì, perché ho una bottiglia di birra in mano e penso che potrei difendermi spaccandola e puntandola alla giugulare, ma no…

Le tue stesse armi possono essere usate contro te stessa

Il manuale di autodifesa femminista sconsiglia l’uso di armi, perché è più facile essere disarmate prima di riuscire ad usarle. Non è proprio da tutti spaccare una bottiglia e puntarla alla gola di qualcuno. Metto via la bottiglia nella borsa sperando che non l’abbiano notata e vedo una cosa che mi ricorda la seconda tesi del manuale di autodifesa femminista.

Tu sei l’arma

Per questo s’intende che un “NO” risoluto o una determinata postura possono essere sufficienti a volte per scoraggiare un’aggressione. Io però non sono troppo lucida e penso che il mio corpo sia per davvero un’arma e comincio a ripetere “sono un’arma, sono un’arma… le mie mani sono un’arma… le mie mani hanno gli artigli… si io sono un mutante… sì, cazzo… io sono Wolverine” e infatti prendo le mie chiavi di casa, infilo ogni chiave tra le dita e così divento Wolverine. O almeno credo. Ma le chiavi strette così in mano fanno un male boia e no, non credo di riuscire ad artigliare qualcuno che le chiavi della cassetta della posta. Allora penso alla terza tesi, la più estrema: è statisticamente provato che delle donne si siano salvate da un’aggressione rendendosi sgradevoli e non appetibili – passatemi il termine sebbene il concetto in sé faccia davvero schifo – dal punto di vista sessuale.

CERCA DI FAR SCHIFO AL C***O

E allora eccomi lì, un minuto prima ero Wolverine e il minuto dopo sono pronta ad alzare le braccia al cielo e urlare “Ho la candida e prude da morire” o nel caso più estremo farmi la cacca addosso. Ma per fortuna i sacchettesi sono scesi alla fermata prima della mia. Io sono tornata a casa ho controllato che la mia gatta fosse dentro e ho chiuso la gattaiola. Perché il mondo è quel posto orribile in cui una donna deve essere disposata a farsi la pipì addosso per poter girare da sola.

E niente… non dite a mia mamma che io sono Wolverine. 

EDIT: ho smesso di prendere il bus sostitutivo notturno da anni, ma in compenso sono stata scippata da una gang di teenagerz, in pieno giorno, in treno.

EDIT 2: Ombra, la mia gattina, ha deciso di non tornare più. Mi piace credere che abbia trovato una coinquilina più attenta e premurosa di me. A lei avevo dedicato questo.

Olona Wasteroom Session #Zero

Olona Wasteroom Session #Zero

La Wasteroom è la factory audio/video del collettivo Olona Wasteland Punx, nata per dare voce ai gruppi nella forma più schietta, distorta e genuina. EPISODIO ZERO: Stoned Monkey – LIVE + INTERVISTA!

Accendete i bong, cospargetevi di fango e fatevi devastare l’apparato uditivo.

Bizzarriti to the core // d.i.y. ör die!

Doom or be Doomed!

Olona Lower Death Valley, settembre 2020

Le Sessions nascono nell’autunno 2019 all’interno della nostra saletta autogestita con l’obiettivo di documentare il maggior numero di band legate alla scena d.i.y./underground che orbitano intorno alle lande desolate della Valle Olona. Dopo alcune sessioni di prova, il progetto subisce uno stallo dovuto alla mancanza di energie e di tecnologia. Oggi, costretti dalla sospensione dei concerti sudati, riprendiamo in mano cavi, mixer, telecamere e microfoni: questa modalità di documentare un concerto diventa un modo di testimoniare il momento storico, ricreando momenti di aggregazione e confronto in tutte le fasi del progetto. Il live è ugualmente potente, a metà tra sala-prove e palco, e nella breve chiacchierata a seguire si dà voce ai gruppi nella forma più schietta e genuina, senza le finalità dei patinatissimi video promozionali. Una videozine? Forse. Sicuramente il focus è sui volumi e sulle distorsioni, ma ci teniamo a sottolineare quello che ci spinge: l’autoproduzione come scelta, non trampolino; l’autogestione come strumento per condividere e raggiungere i nostri obiettivi.

Non siamo un collettivo militante, ma crediamo nella libertà: non tolleriamo l’intolleranza!

ANTEBELLUM: che genere di potere?

ANTEBELLUM: che genere di potere?

Sarà come camminare su travi scricchiolanti senza far rumore – come fa la protagonista grazie alle sue lezioni private di Yoga – poter scrivere di questo horror socio-psicologico senza svelare uno dei pochi colpi di scena che sia riuscito a sorprendermi, da un bel po’ di tempo a questa parte, in ambito cinematografico. (p.s. NON guardate il trailer)

Il film in questione è Antebellum e, per quanto assurdo possa suonarvi, per parlare di questo devo prima parlare del remake in chiave femminile di Ghostbusters.

No, We cannot…porcocazzo

No, perché la mia è proprio una vita di merda. Era un normalissimo venerdì sera in pieno lockdown e avevo voglia di vedere un film leggero con quel cicinin di nostalgia dei tempi che furono, ma mi sono ritrovata ad incazzarmi come una jena con le mestruazioni perché, se l’empowerment delle donne in versione hollywoodiana, deve essere il racconto di donne potenti che fanno battute rozze e uomini etero macchietta, belli e stupidi, di mero contorno e allora no, porca merda, qua non andiamo da nessuna parte. Perché non si tratta di prendere il loro posto ma di “una vita radicalmente diversa. Braaah. Braaaah” (cit.)

“Si tratta di capire che la vita, che il capitalismo troppo spesso ci porta a maledire, può essere bella … e che il programma della lotta che abbiamo intrapreso non è per una vita migliore, ma per una vita radicalmente diversa”.

Quel potere, come lucidamente raccontato nel romanzo “Ragazze elettriche” (titolo originale “The power”, putacaso) di Naomi Alderman ed edito dalla nottetempo, fa schifo a prescindere. E io volevo solo passare qualche ora di spensieratezza, diocristo. Ma tornando ad Antebellum e all’idea di una vita radicalmente diversa di Contrasto HC-memoria, è vero che ci siamo riempiti il giubbotto di spille, ci siamo riempiti la bocca di slogan, abbiamo imparato a dire Senatora o a usare l’asterisco, la “u” o la ə per un linguaggio più inclusivo. La settimana vegana controvoglia e lo spazzolino di bamboo fabbricato nella medesima azienda che divide la sua linea di produzione con il brand sensibilone per consumatori sensibili (e abbienti) e il brand che salva il profitto e distrugge il pianeta, per il restante 99% della popolazione. Siamo dotte, siamo politicamente impegnate, siamo sexy ma fedeli e attente a tenere sempre viva la fiamma della passione (che è comunque quel focolare, ma in versione socialmente accettabile). Facciamo yoga per scacciare i cattivi pensieri e imparare a stare in equilibrio sui sensi di colpa del tempo che togliamo ai nostri figli, alla carriera, a noi stesse e piangiamo da sole per nascondere una fragilità che non è più accettabile. Ci scusiamo con le amiche se abbiamo una giornata “no”. Siamo sempre pronte a sdrammatizzare tutto (il dolore, il senso di fallimento, il lento stillicidio quotidiano di micro-lotte per l’affermazione di noi stesse e dei torti abitudinari, il decadimento dei corpi, l’appassire dei sogni e le ambizioni) come la sapiente arte di friggere tutto per nobilitare anche la più insulsa delle verdurine anemiche. Eppure, eccoti, raggiante su un palco a dire che NOI siamo il futuro, davanti a uomini e donne che non possono far altro che applaudire e incoraggiarti perché tu sei una donna nera negli Stati Uniti d’America nell’epoca di Trump, perché il patriarcato è morto e lo sappiamo perché su Netflix in ogni serie ogni minoranza è sapientemente rappresentata e narrata senza – ovviamente – accennare lievemente il fatto che no, non è così semplice e spontaneo essere un teenager gay di colore in un paesino di provincia, non lo è nemmeno essere una madre lesbica di colore nella medesima cittadina di provincia – come ci vogliono raccontare in Sex Education in cui l’unica vera discriminata, guarda caso, è la povera (ma figa) che vive nella roulotte – ed io per te, donna afroamericana, a mo’ di parziale (seppur iniquo) risarcimento di quello che hai subito e subisci, dico che sia giusto cancellare Via Col Vento dal palinsesto perché è razzista e persino quella puntata di Mad Men in cui il protagonista si dipinge la faccia di nero perché è offensivo. Tutto questo perché il razzismo è una cosa brutta, no? Lo sanno tutti. Il razzismo appartiene alla storia. Il patriarcato è morto. Così come è morta quella docilità che ha reso schiave e schiavi fino a…

Antebellum si apre con una frase di Faulkner che dice: «Il passato non muore mai. Non è neanche passato» ed una delle primissime battute della protagonista recita: “Le cose non sono come quelle che sembrano“.

Non sarà la verità edulcorata e raggiante del politicamente corretto à la Netflix, non sarà il nostro successo legittimato da una audience compiacente venuta lì perché crede in quello che diciamo, perché vuole sentirsi dire quello che raccontiamo, non sarà il chiuderci in cerchi sempre più concentrici e autoreferenziali in cui tutti pensano, agiscono e vivono allo stesso modo, non sarà il rifugiarci in un universo parallelo in cui noi – grazie alla ricchezza e alla nostra posizione sociale – possiamo permetterci di agire come chi ci ha oppresso e rivendicare che noi beviamo solo champagne e la vodka al mirtillo è da miserabili, molestare l’autista di Uber perché è un gran bel figo scopabilissimo, trattare male la cameriera perché ci mette in un tavolo di merda troppo vicino al cesso del migliore ristorante della metropoli, a proteggerci o salvare noi stesse e il mondo intero dagli abusi di potere e i meccanismi malati delle gerarchie, perché ci sarà sempre una receptionist che ti tratterà di merda perché sei nera. Così come ci sarà una donna nera ricca che tratterà di merda un cameriere bianco. E ci sarà quel cameriere bianco che tratterà di merda un disoccupato. E quel disoccupato che odierà così tenacemente tutto questo che egli stesso cercherà di creare la sua isola felice dove i neri sono negri e schiavi, le donne o sono mogli o puttane – ma comunque inferiori – e lui bianco, maschio, eterosessuale non è secondo a nessuno.

Se cito Israele, il sionismo e la questione palestinese, piscio fuori? Chiedo per un amico. 

Ma tu che razza di donna sei?” urla la protagonista, alla sua carnefice, in quel campo di cotone in cui è schiava. Che razza di donna sei, se permetti agli uomini di violentare, picchiare e uccidere altre donne. Tu, che per loro sei comunque inferiore eppure gregaria e complice della gerarchia e del potere, in tutto il tuo “donnismo” alla Alpha Woman?

Niente è come sembra in Antebellum. Esiste la narrazione della realtà ed esiste un piano alternativo e parallelo in cui il bianco e nero è ben distinto e non ci sono arcobaleni che celebrano l’uguaglianza e l’inclusività di chicchessia. La lotta è sempre e solo una. Quella contro il potere, indipendentemente dalla casacca che l’oppressore decide di indossare.

No, non indossare la giubba dell’oppressore, amica. Manco se fa freschino, MAI.

Mi viene in mente quel buffo MEME che inizia con “Bill fa questo e Bill non fa necessariamente questo. Sii intelligente. Sii come Bill”. Dopo la visione di Antebellum mi viene da dire “Non essere come Veronica e le sue amiche. Non indossare quella giubba.” Il potere fa schifo SEMPRE. Ah, anche il capitalismo… quello fa cagarissimo perché libera dall’oppressione rendendo oppressori. E fin tanto che non sovvertiremo questo potere e le sue dinamiche, tutto ci potrà essere portato via in qualsiasi momento. O un pochino per volta come il lavoro, i soldi sul con conto in banca, la propria identità (come in Handmaid’s Tale di Margaret Atwood), anche nel più lucido dei sogni “pay per view” in cui crediamo di essere liberi. Veronica, senza i suoi soldi e la sua posizione sociale, non è nulla di più che una schiava, esattamente come lo erano i suoi avi.

III/ LA SVOLTA SEXY ED IL DECLINO

III/ LA SVOLTA SEXY ED IL DECLINO

Dozzine di donne sacrificate impunemente all’altare della Chiesa Evangelica.

Terza ed ultima parte di The Disney Channel: un orribile disegno / Seconda parte: L’anello della purezza

Britney Spears è diventata famosa con una canzoncina che diceva Hit me baby one more time, che significa “colpiscimi”, anche se lei intendeva “sorprendimi”, ma noi tutti abbiamo visto e rivisto una ragazzina vestita da collegiale con le treccine, dire “picchiami” per quasi quattro minuti di canzone. Eppure, la fidanzatina d’America, che per prima fece della verginità qualcosa di pop e cool, riusci ad ingannare proprio tutti. Tutta l’America cristiana e bigotta, che non si fece scandalizzare neanche dalla mastoplastica additiva (silicone alle tette), quando la nostra non era ancora maggiorenne.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=t0bPrt69rag]

Lei, di bianco vestita, che in Sometimes, chiedeva all’uomo della sua vita di “aspettare”. Ma poi è arrivato Justin, le delicate dichiarazioni di lui, la dolorosa rottura, l’accusa di tradimento di lui (Cry me a river) e la difesa di lei (Everytime).

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=DksSPZTZES0]


Britney ora è sola. Troppo adulta per la DC (Disney Channel), troppo poco vergine per la Chiesa Evangelica e i Repubblicani, che invece puntano sulla nuova pupilla Jessica Simpson, la prima a mostrare fiera l’anello della purezza sui rotocalchi, seguita da tutta una serie di teen-idol più giovani e pure di lei. Le vendite sono in calo ed è davvero difficile rimanere sempre al top, così la nostra (o chi per lei) decide che bisogna ripetere la formula che l’ha portata al successo, ovvero vendere sesso facendo finta di niente. Giunse così l’ora della famosissima SVOLTA SEXY con I’m a slave4You, in cui Britney sudata e seminuda sussurra sensuale e ci va giù pesante di movimenti pelvici, affermando “Sono la tua schiava” (ma lei si rivolge alla musica, mica a te, pervertito!)

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=Mzybwwf2HoQ]

Jessica Simpson si presenta al mondo come la figlia di un reverendo texano, (ma non è vero! Il padre è solo un manager musicale che dopo di lei, lancerà la figlia più piccola, con un piglio meno virginale e caramelloso, in favore delle buone ballad rock’n’roll-country che piacciono alla sana e cristiana America). Esordisce comunque come la nuova icona della Cristianità.

Canta in chiesa, incide cd di christian-pop, va ai convegni nazionali cristiani, va al MICKEY MOUSE CLUB, si mette insieme ad uno del MICKEY MOUSE CLUB, si sposano, fanno il reality, interpreta (male) il sogno erotico di ogni buon redneck che si rispetti, ovvero Daisy di Hazard, finanzia la campagna elettorale di Geroge W. Bush, divorzia, ingrassa e sparisce dalle scene.

Per Britney è l’inizio della fine. All’età di 22 anni si sposa a Las Vegas con un amico d’infanzia, sopra una limousine verde mela. Indossa dei jeans strappati ed un cappellino da baseball. Il giorno dopo si scusa, ma il danno è fatto ed una foto prova l’inconfutabile: Britney Spears era dannatamente ubriaca. La roba manda così in bestia l’America bacchettona da far imbufalire pure la moglie del governatore del Maryland, che lancia una campagna dal cristianissimo nome “KILL BRITNEY” e dichiara «You know, really, if I had an opportunity to shoot Britney Spears, I think I would.» Comincia a frequentare gentaccia (come Fred Dusrt dei Limp Bizkit), che si bullerà parecchio di averla scopata. Diventa molto amica di Paris Hilton e Mel Gibson (tanto ninfetta la prima, quanto folle il secondo), fuma, beve, va in giro senza mutande e si sposa con un ballerino con la faccia da idiota (Kevin Federline) con cui fa una manciata di figli. Il giorno del matrimonio le damigelle e i damigelli indossano tute di ciniglia con su scritto “Pimp” (pappone) o “Bitch” (stronza/puttana) sulle chiappe. Servono ali di pollo e immolano parecchie mucche al dio del trash. Britney e Kevin scopano un sacco. Oh, sì… lei è obnubilata dal suo cazzo. Si fa beccare dai paparazzi in tanto che glielo massaggia, si lascia andare, ingrassa e ride sguaiata ed ubriachella all’obiettivo. Britney ora è felice.

Ma a chi può vendere i dischi una Britney incapace di danzare, cantare, fuori forma, volgare e che fa la solita musica di merda? Fosse una rock star, nessuno si stupirebbe! Ma lei è la reginetta gné-gné d’America, mica Courtney Love!

Britney chiederà il divorzio a Kevin (senza addurre alcuna motivazione ufficiale). Lui darà il via ad una lunghissima battaglia legale per l’affidamento dei figli, denunciandola di ogni cosa. Lei, per pararsi il culo, si ricovera in una clinica di riabilitazione e si rapa a zero, in modo da evitare un eventuale test tricologico, volto a rilevare la presenza di droghe nel suo corpo. Britney è fuori di testa.

Da fidanzatina a incubo d’America. Cosa è successo realmente a Britney Spears?

Lamie Spears, suo padre, va da un giudice e fa dichiarare Britney incapace d’intendere e volere. Ora tutti i suoi soldi, la sua immagine, la sua carriera sono in mano al padre e alla madre, che diventano (ri-diventano) i suoi manager. Suo padre la segue persino in tour e durante le registrazioni dei videoclip. Britney Spears ormai trentenne, non ha tutt’ora la possibilità di scegliere della propria vita e per volontà di padre deve leggere la Bibbia per almeno un’ora al giorno. Perché se è una sfasciona è solo e soltanto perché ha voltato le spalle a Gesucristo! …ma non è l’unica.

Innumerevoli sono i prodotti della DC (e della Chiesa Evangelica) che hanno compiuto il medesimo percorso. Calcare le scene con ancora il pannolino addosso, far fare palate di soldi ai genitori, battere ogni record d’incasso, promuovere i sani valori cristiani, crescere, perdere pubblico, scandalizzare con la svolta sexy appena maggiorenni e sbottare.

Yo quiero fumaaaar mota!

Lo ha fatto Lindsay Lohan, la ragazzetta carina con le lentiggini del remake di HERBIE, IL MAGGIOLINO TUTTO MATTO (Disney) e che ora che è adulta, colleziona più arresti e risse del peggio gangsta rapper. Lo stesso è stato per Miley Cyrus… tanto odiosa, quanto prodigiosa, che dopo l’immancabile svolta sexy è stata beccata intenta a spipazzare un bong!

CONCLUSIONE Si potrebbe obiettare asserendo che questo folle gioco al massacro, non è del tutto originale. Si potrebbe dire che indipendentemente dalla Disney, ogni volta che un bambino diventa ricco e famoso in tenera età, è destinato a vivere una vita da sfascione.

Drew Barrymore per esempio, la bambina di E.T., a dodici anni era già dipendente da alcol e cocaina. Maculay Culkin, il bambino di Mamma ho perso l’aereo, tanto carino da diventare l’attore-bambino feticcio del mondo intero, a soli 15 anni era un uomo povero (il padre aveva sperperato ogni suo centesimo) depresso, esausto che decise di ritirarsi dalle scene e da allora non ne è più emerso. Stiamo parlando di mega disadattati, dunque. Ma se da un parte quel finto-buonista di Steven Spielberg, padrino di Drew Barrymore, ha fatto il possibile per “salvare” la sua pupilla, (famoso è l’episodio in cui Spielberg sgridò Drew, per aver posato nuda su Playboy) la DC invece, se ne strasbatte il cazzo ed una volta spremuti a dovere, lascia i suoi prodotti allo sfascio perché gli conviene così. Ma non è il bieco sfruttamento delle baby-star da parte dei genitori e della DC, a rendere questa storia abominevole (come un centipede umano), ma bensì il CALCOLO.

Sì, amici miei… tutto questo è voluto dalla Chiesa Evangelica che può così prendere ad esempio le Britney, le Lidsay e le altre sfascione a mo’ d’esempio per le future generazioni cristiane. ...e sta in questo la mia ipotesi di complotto: La DC (Disney Channel) in collaborazione con la Chiesa Evangelica, creando delle star ad hoc, vende sesso e pedofilia facendo finta di niente e fa un sacco di soldi. Sfrutta i suoi prodotti (negandogli infanzia e adolescenza “normali”), fino al punto di farli diventare dei disadattati del cazzo, in modo tale che, una volta “rotti”, si possa dire che è perché hanno fatto l’errore e l’abominio di abbandonare i binari delle cristianità e i saldi valori americani. …insomma, come Adamo ed Eva che colsero il frutto della conoscenza, come Icaro che si spinse a volare verso il sole. Il punto è questo: volta le spalle a Gesucristo e sei fottuto, tu sei una merda e tale devi restare. Merda.

Fine


II/ L’ANELLO DELLA PUREZZA

II/ L’ANELLO DELLA PUREZZA

Pedo-pornografia, matrimoni precoci, malattie sessualmente trasmissibili, sesso anale: sono solo alcune delle pratiche adotatte dagli adepti de “THE SILVER RING THING”!

Seconda parte di THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

In principio vi era la Chiesa Evangelica che negli anni Novanta lanciò il movimento “TRUE LOVE WAITS”, che poi divenne “SILVER RING THING” col nobilissimo obiettivo di preservare i giovani dalle gravidanze precoci e dalla malattie sessualmente trasmissibili. Come? Predicando l’astinenza prima del matrimonio.

L’anello della purezza (o purity ring) è una piccola fede d’argento che simboleggia la promessa fatta a nostro signore Gesucristo, di rimanere vergini fino al giorno in cui si convolerà a nozze.

Un cavillo per la verginità: sesso anale per le figlie di Maria!

Alcune scuole confessionali americane, tipo quelle che non insegnano l’evoluzione darwiniana a favore della teoria creazionista, in passato hanno promosso ed esercitato molta pressione (sponsorizzati dal Governo Bush) sulle allieve affinché indossassero l’anello.

Eppure, è provato scientificamente che l’anello della purezza non serva ad un emerito cazzo, perché la gente che lo indossa è stupida.

Come si può leggere in un interessante, nonché smerdatorio, articolo sul Washington Post del 2005, che riporta l’esito di uno studio durato 18 anni e che ha visto la partecipazione di 20.000 volontari, con l’anello della purezza al dito.

Ne è emerso che il 75% ha violato la promessa e ha fatto sesso prima del matrimonio, ma ne è emerso anche che sebbene l’astensione possa aver evitato in minima parte gravidanze precoci (favorendo nello stesso momento matrimoni precoci e divorzi precocissimi), ha però creato una generazione di ignoranti, privi della benché minima nozione in merito all’educazione sessuale e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.

É provato infatti che, essendo stupidi e pensando che per astensione s’intenda solo ed esclusivamente il sesso vaginale (che provoca al rottura dell’imene e possibili gravidanze), le giovani ragazze evangeliste con l’anello della purezza al dito, non perdano tempo a far parecchi pompini e parecchio sesso anale non protetto, ergo, mucose piene di micro-lesioni come se fossero strisce di zebre e batteri fecali come se piovesse.

La Disney non si è mai fatta questi problemi, anzi… punta molto sull’immagine pulita-acqua&sapone delle sue baby-star e non c’è singola intervista in cui non salti fuori l’anello della purezza e la promessa di castità. La summa è che ogni volta che una baby-star Disney apre bocca, parla di sesso ed è un po’ come dire ad una persona che soffre di vertigini, che s’improvvisa funambolo, di non guardare sotto.

Dì ad un adolescente in pieno sconvolgimento ormonale o ad un uomo arrapato, la parola “vergine” e lui penserà subito a mutandine bianche ed una vagina da deflorare. É matematico.

Da questo punto in poi, da quando cioè le baby-star della Disney, non sono più “baby” e hanno fatto la loro promessa, la cosa un po’ si complica. La prima ragione è che oramai sono diventati adulti, si sono emancipati e hanno intrapreso (motivati e punzonati dai genitori manager) una carriera fuori dalla Disney, ma comunque dentro la Chiesa Evangelica, perché ahimè, da qui in poi si farà sempre più fatica a capire se ci sia poi una reale differenza tra la Walt Disney Company e la Chiesa Evangelica, ed è per questo che ho deciso simpaticamente di chiamare The Disney Channel, la DC. Anche se c’è da dire che, rispetto agli Evangelisti americani, la nostra Democrazia Cristiana sembrava composta da dei black blocks spacca madonne.

Il secondo elemento che va a complicare la faccenda è che, vada per la castità e la purezza, ma questi giovani uomini e donne straordinari, dovranno pur avere una vita apparentemente normale. Dai… il fidanzatino ce l’hanno proprio tutte! Pure le scronde e le figlie di Maria!

Ed ecco che la Disney, come il chirurgo pazzoide di Human Centipede, come il Dottor Frankestein e anche un po’ come Mengele cosa fa? Gioca con i corpi e le vite dei propri prodotti, perché non gliene frega un cazzo se Britney Spears ha firmato per una multinazionale e vende milioni di copie. Britney Spears è un prodotto Disney, è cresciuta nella Disney ed è stata educata secondo i dogmi della Chiesa Evangelica. Britney Spears è figlia di Topolino e da brava figliuola, fa quello che le dice il topo e guarda caso, si mette assieme ad un altro prodotto della Disney, che accidentalmente proprio in quel momento è in vetta alle classifiche con la sua boy band.

La fidanzatina d’America che s’innamora del fidanzatino d’America ed insieme aspettano il matrimonio, illibati e innamorati di Gesucristo.

Britney Spears si fidanza con Justin Timberlake, che per non farsi dare dello sfigato, a domanda «É vero che Britney è vergine?», lui risponde «Non posso rispondere a questa domanda, so solo che la sua bocca non lo è...». Grazie Justin, grazie davvero! Grazie per essere stato così carino nei confronti di quella ragazza che ami e rispetti così tanto, da non voler macchiare il vostro sentimento, con dello squallido sesso vaginale. Leggi: Britney Spears bocchinara.

E come Britney, c’è stata Jessica Simpson con Nick Lachey, o uno dei Jonas Brothers (dalla serie della DC omonima) con Selena Gomez (da I MAGHI DI WAVERLEY)Zac Efron con Vanessa Hudgens (entrambi di HIGH SCHOOL MUSICAL, lungometraggio della Disney), ecc. ecc.

Le loro storie, che ricordano tanto quelle unioni tra nobili imparentati, nate fin dai primi anni dell’infanzia intanto che ballavano e cantavano al Mickey Mouse Club, vengono seguite, sezionate, coreografate e scenografate davanti ai media di tutto il mondo ed esse stesse diventano spettacolo, alimentato dalla morbosità e della curiosità legata alla sessualità (orale et anale) della coppia.

Fino al giorno del matrimonio… in cui finalmente il pene può entrare nella vagina ed è subito reality.

La favola volge alla fine, Barbie e Ken si sono sposati e i due novelli sposi vivono felici e contenti. Le bambine hanno visto la cerimonia nuziale, l’abito bianco e il bacio in chiesa. Hanno visto la luna di miele in qualche paradiso tropicale. Hanno visto infine, le loro beniamine struccate, appena sveglie nel letto di un albergo di lusso. Persone normali, che vivono vite normali e si sposano come le persone normali.

E adesso? Dopo il matrimonio? Cessato il clamore derivante dalla loro verginità? Come possono Britney Spears e Jessica Simpson proseguire una carriera, che fino ad allora era costruita intorno alla loro sessualità?

Dopotutto nessuna bambina voleva la sfigatissima Barbie “Famiglia del Cuore”!

Fine Seconda Parte


THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

THE DISNEY CHANNEL: UN ORRIBILE DISEGNO

Articolo originale qui

Un chirurgo pazzoide in pensione, che s’è fatto la villa a furia di dividere gemelli siamesi, decide di portare avanti un folle progetto e cioè quello di creare un centipede umano. Asportando le rotule ai malcapitati ed obbligandoli così a carponi, cuce la bocca all’ano di chi sta davanti nella sequenza, creando così un lungo tubo fatto di bocca-culo-bocca-culo-bocca-culo. La sua idea è quella che, in assenza di risorse, nutrendo solo il primo, gli altri possano sopravvivere alimentandosi dei suoi escrementi e così via… Schifo? Sì, ma è solo la trama di un brutto film (The Human Centipede), ciò che sto per raccontarvi invece è la pura realtà.

Questa è la la storia del progetto più lucido, criminale e riuscito dei nostri tempi, tanto evidente, chiassoso e colorato da diventare invisibile. Sto parlando di THE DISNEY CHANNEL (da ora la DC) e della sua fame insaziabile di esseri umani. La DC, moderno Dottor Frankestein, che taglia, cuce e gioca al demiurgo, con i corpi e i genitali delle sue cavie con l’unico e meschino obiettivo di far soldi, attraverso la paura e i dogmi cristiani.

Ma iniziamo dal principio…

C’era una volta la Walt Disney Company che investì circa 30 milioni di $ per avere una tivì tutta sua, la DC per l’appunto, che iniziò le sue trasmissioni nell’Aprile del 1983, con il MICKEY MOUSE CLUB (che era una specie di “Non è la Rai”, ma coi bambinetti che cantano e ballano), una manciata di vecchi film classici ed una serie ad hoc dal titolo KIDS INCORPORATED, che racconta la storia di un gruppo di teen-idol, che devono destreggiarsi tra l’incredibile fama e la loro voglia di vivere una vita semplice.

Dopo pochi anni rivoluzionano il MICKEY MOUSE CLUB, che diventa THE ALL-NEW MICKEY MOUSE CLUB, ma rimane una specie di “Non è la Rai” coi bambinetti che cantano, ballano e che diventerà famoso, per aver assunto e sfruttato (arricchendo i loro genitori) tizi del calibro di Christina Aguilera, Justin Timberlake e Britney Spears.

Nel 2004 circa, la DC cambia target, pedinando il suoi primi fans (ormai adolescenti), diventa un canale di talent scouting che manda in loop trasmissioni e roba promozionale, per lanciare i propri prodotti.

Prendiamo una serie televisive come RAVEN del 2005Vedremo che la DC tende a chiamare i protagonisti con lo stesso nome di battesimo degli attori (e non è un caso). La protagonista di RAVEN, giustappunto si chiama Raven-Qualcosa e per intenderci è Olivia, la bimba dei Robinson, cresciuta e decisamente formosa.

RAVEN, nella serie, è una ragazzetta che prevede il futuro e deve destreggiarsi tra il suo incredibile potere segreto e la sua voglia di vivere una vita semplice.

Breve nota biografica. Raven-Qualcosa LAVORA nello spettacolo dall’età di due anni. Nata nel 1985, ha già girato 13 film, 4 serie (per un totale di almeno 200 episodi), è apparsa in altre 7 serie, sa recitare, cantare, ballare ed è pure coreografa, perché la DC vuole artisti a tutto tondo!

Ama la musica di Hannah Montana e London Tipton, entrambe personaggi di altre serie originali della DC, ovvero HANNA MONTANAZACK & CODY AL GRAND HOTEL e dello spin-off ZACK & CODY SUL PONTE DI COMANDO.

Raven comparirà come guest star in alcuni episodi crossover.

Altro crossover (e questa volta triplo!) in una puntata di ZACK & CODY SUL PONTE DI COMANDO, in cui compaiono sia Hannah Montana, che i protagonisti di un’altra serie della DC, ovvero I MAGHI DI WAVERLY che racconta la storia di una famiglia di maghi, che devono destreggiarsi tra i loro poteri segreti e l’incredibile voglia di vivere una vita semplice.

Altra serie di successo: HANNAH MONTANA in cui Miley Cyrus interpreta Miley Stuart (stesso nome di battesimo), una ragazzetta normale, che di notte fa la pop star, indossando una parrucca bionda e che deve destreggiarsi tra le mille difficoltà derivate dalla sua falsa identità (Hannah Montana, appunto), in contrapposizione alla sua voglia di vivere una vita semplice.

Nella serie c’è anche suo padre (che è anche il manager di Hannah Montana e per non farsi beccare indossa dei baffi finti!) e pure la sorellina piccola in qualche episodio. In tutto questo la madre (reale) è manager sia di Miley che del padre.

Facendo un resumé…

Alla base delle serie della DC, c’è un’unica idea, ovvero la storia di pre-adolescenti (o gruppi di adolescenti) che hanno qualcosa che li rende unici, ma mentono alla plebe per vivere una vita normale.

Le serie della DC vengono interpretate da baby-star che non hanno mai avuto una vita normale e che da quando sono in grado di tenere dritta la testa sul collo, recitano, ballano, cantano e studiano per farlo, come piccoli atleti che manco vanno a scuola, perché hanno un tutor che li segue in tournée.

I protagonisti delle serie della DC hanno lo stesso nome delle baby-star che l’interpretano e compaiono da una serie all’altra, in un complesso gioco di citazioni, crossover, cammei e scatole cinesi che portano TE, innocente creatura che guardi la TV, a credere che quel mondo esista davvero.

Ad ogni serie della DC corrispondono un paio di album (cantati dai personaggi della stessa), merchandising, videogiochi, linee di abbigliamento, profumi ecc…

Interessante è il caso di Miley Cyrus che è andata in tour come Hannah Montana (ovvero con la parrucca bionda), è stata seguita passo-passo dalle telecamere e ciò che ne è emerso è stato il film di Hannah Montana, in cui un personaggio di fantasia si esibisce davanti ad un pubblico reale e quantomai confuso, composto da bambine urlanti, peluches, lacrime e tiepidi ormoni pre-puberali.

Breve nota biografica: MILEY CYRUS, figlia di un cantante country e della sua manager, non ancora sedicenne, conta 10 lungometraggi, 10 serie, 3 tour mondiali e 4 album.

Abbiamo visto che nel 2004 circa, la DC si è evoluta e si è adeguata ai suoi fans che crescevano e diventavano adolescenti, ma dopo la pubertà? Cosa ne è degli ex enfant prodige e del loro pubblico? Come si comporta la DC coi ragazzi e le ragazze a cui è cresciuto il pelo pubico?

Fine Prima Parte


POSSO VIVERE ANCHE SENZA DI TE | Un mio racconto per “Abbatto i muri – Al di là del buco”

POSSO VIVERE ANCHE SENZA DI TE | Un mio racconto per “Abbatto i muri – Al di là del buco”

Racconto originale qui

Mi scrive Valeria. Lei dice:

l’altro giorno ho letto questo articolo su Repubblica e mi sono innervosita molto. Il non avere un compagno viene trattato come una sorta di patologia. L’essere sola, non come una scelta, ma come una difesa perché hai troppo sofferto. Di reazione ho scritto il racconto che allego. Non mi vengono in mente altri spazi in cui vorrei vederlo pubblicato. L’ho scritto di getto, a mano, senza praticamente cancellare nulla. L’ho trascritto nei ritagli di tempo che riesco a rubare a lavoro. Spero ti piaccia, spero possa trovare spazio nel tuo bellissimo mondo che seguo, leggo, ri-leggo perché mi fa pensare e perché fa dei pensieri parole. Con suprema-giga-interstellare stima, Valeria

E io le rispondo che non solo il racconto è bello ma che condivido il fastidio che quell’articolo le ha provocato. Possibile che le scelte delle donne debbano sempre essere trattate con disprezzo o con una strana pietas, la stessa destinata alle “zitelle” di una volta, con pioggia di stereotipi sessisti conseguenti?

Godetevi il racconto di Valeria e grazie per le meravigliose parole di stima che mi hai rivolto.

I’m unclean, a libertine. Without you I’m nothing

Placebo

Non permetterò mai più a nessuno di considerarmi sua

Formulò la frase stiracchiando il suo corpo indolenzito per traverso lungo la diagonale di quel letto che aveva appena finito di dividere con un uomo, conosciuto la notte prima.

Lo aveva osservato dormire dopo essersi liberata dal suo abbraccio. Non aveva mai scopato prima di allora senza riconoscere come familiare il tocco delle mani sul suo corpo. La forma e il sapore dei baci. Il ritmo e la melodia del piacere dell’altro. Aveva sempre amato. Amato molto. Intensamente. Con abnegazione e fede. Era la prima volta che usava un profilattico per proteggere sé stessa dall’altro.

Quel rapporto senza esplicitazione del seme le era parso un gioco, una messinscena, bambini che giocano a prendere il thé con tazze invisibili e biscotti trasparenti.

Quel rapporto senza amore l’aveva liberata.

«È tutto qui» la meccanica del desiderio e del piacere a lungo scambiata per sentimento ora si svelava in tutto il suo inganno come la scenografia di una messinscena. Medesimo era il calore. Medesimo il piacere e la complicità. Per questa notte si erano appartenuti. Si erano dati. Si erano lasciati cadere all’indietro e avevano trovato braccia decise ad attutire il tonfo.

Si guardò allo specchio appoggiato alla parete – non aveva ancora trovato il tempo né la voglia di ancorarlo al muro – posò una mano in mezzo alle gambe. Era ancora bagnata. Aperta e vorace degli spasmi del grembo. Eppure voleva che lui se ne andasse il prima possibile.

Sopportò il rituale delle chiacchiere davanti ad una colazione raffazzonata. Non faceva la spesa da settimane. Lui mangiò molto, pure quella fetta biscotatta che lei non era riuscita a finire. Così come il thé che aveva lasciato raffreddare nella brutta tazza recuperara ad un mercatino dell’usato. Uscirono a piedi.

Prima di uscire lui l’aveva guardata rivestirsi. Sorridendo. Il suo sguardo l’aveva fatta sentire bella. In quegli occhi vi era una forma di gratitudine. Quel “grazie” non detto la fece infuriare. Ma lui le si era avvicinato e aveva posato le labbra sulle sue e quel calore l’aveva accesa nuovamente. Quelle labbra, quella lingua e quei denti con cui aveva danzato durante la notte.

Una volta giunti alla macchina, si abbracciarono e in quell’abbraccio si placò. Quel calore uguale a qualsiasi altro corpo. Sorrisero e si promisero di rivedersi al più presto. Mentivano entrambi. Quando l’auto svanì all’orizzonte, lei si rese conto di non ricordare il suo nome; sapeva solo come si faceva chiamare sui social network. Un nome idiota. Scoppiò a ridere nel parcheggio attirando l’attenzione di alcuni vicini di casa. Era di buon umore. Tirò fuori le cuffie dalla borsa per ascoltare della musica. Sfogliando la cartella dei file del lettore mp3 decise che non aveva voglia di qualcosa di preciso. Selezionò la riproduzione casuale delle tracce. Non lo aveva mai fatto prima.

Tornando a casa cambiò le lenzuola canticchiando una canzone. Si fece un lungo bagno e studiò il proprio corpo nudo immerso nell’acqua. Aveva numerosi lividi. Un ematoma nero a forma di sigaro nella parte interna del braccio. Un altro livido ricordava l’impronta di un bacio all’interno della coscia. Gli stinchi erano coperti di sfumature violacee. Succedeva sempre così quando andava ai concerti. Beveva fino a perdere la cognizione del dolore e si spingeva fino in prima fila sfidando i gomiti e le spinte del pogo esasperato. Quando era ragazzina era troppo magra e timida per spingersi così sotto il palco. Timorosa di farsi male. Di mani inopportune e di cadute sgraziate. Ora si faceva sollevare sulle braccia dei suoi amici. Più volte era caduta. Si era spaccata un incisivo. Si era fatta male. Eppure a rivivere quei momenti, ciò che provava, non era dolore ma una forma di amore che non può ferire. E le bastava. Un amore sincero e carnale. Un amore fatto di parole urlate al soffitto. Di sudore. Di musica a volumi sbagliati. Di spazi piccolissimi o vasti e fatiscenti. Sporchi e colorati. Liberi. Cessi inagibili. Birracce calde in lattine da mezzo litro e prontamente rovesciate a battezzare la continua nascita di sogni e piccole rivoluzioni. «Ce li stanno portando via tutti, pezzo dopo pezzo…» pensò ricordando le immagini delle divise, degli scontri e della resistenza fatta di cassonetti ed eroi solitari arrampicati sui tetti.

La vita, fuori da quei luoghi, era priva di amore.

«Amore, amore, amore…» era così che per anni aveva chiamato il suo compagno. Il suo solo compagno. Con lui aveva sognato di costruire un futuro soltanto loro. Con lui aveva deciso di fare a metà della propria esistenza.

«Non permetterò mai più a nessuno di considerarmi sua» ripeté nella mente al supermercato, leggendo gli ingredienti di una confezione di biscotti che nascondevano uova e tracce di latte. Li lasciò sullo scaffale e passò alla confezione accanto. I suoi acquisti erano guidati da una rigidissima serie di regole, ma era la sua norma e soltanto il suo gusto a determinare la scelta finale.

«Mangio quello che voglio e quando voglio» pensò.

Era la sua quarta o quinta spesa fatta da quando aveva deciso di camminare da sola. Nonostante il flusso la portasse nella direzione opposta. Nella sua testa risuonava ancora l’eco delle barriere imposte ai gusti di lui. Ignorò l’eco. Comprò solo quello che piaceva a lei e immaginò di cucinarlo e mangiarlo da sola nella sua cucina. Passando davanti al reparto degli alcolici tirò dritto per evitare la moralizzante nausea del post-sbornia, ma una volta vicina alla cassa tornò sui suoi passi. Non aveva più alcolici in casa. A parte quella bottiglia di vodka che teneva da parte per un’occasione speciale. Non aveva alcuna idea di quale potesse essere la sua idea di “speciale” eppure la teneva lì. Aspettando.

La musica continuava ad isolarla dal mondo. In mezzo alla ressa di un sabato in un supermercato, si sentiva sola e separata da ciò che la circondava. Galleggiava e si spostava tra una corsia ed un’altra come un fantasma che non poggia i piedi al suolo. Libera dal peso della gravità. Qualcosa attirò la sua attenzione: una coppia a pochi metri da lei stava conversando davanti alle bottiglie di vino. Gesticolavano. Soprattutto le mani di lei. Disegnavano le parabole delle chiome degli alberi sconquassate dal vento. Decise di osservarli senza spegnere la musica. Non voleva origliare. Osservò l’aprire e il chiudersi della bocca di lei e di lui. Scorse la frenesia delle mani di lui nascoste nelle tasche dei jeans costosi, ma strappati e logori artificialmente. La scarpe da tennis di marca. Le ballerine di lei. Quei piedini raso terra che si puntavano contro un muro di rivendicazione. Aveva visto quella scena migliaia di volte. L’aveva vissuta.

Amici a cena. Bisogna scegliere il menu e abbinarci un vino. Cucineranno e puliranno a casa tesi ed eccitati. Berranno molto vino e passeranno una bella serata, nonostante la velata antipatia che lui prova per la ragazza del suo amico. Sparleranno degli assenti. Faranno in modo che non si creino buchi nella conversazione. Si congederanno quando almeno due persone su quattro cominceranno a sbadigliare rumorosamente. «Andiamo a nanna» dirà l’altra lei appoggiando una mano sulla spalla o il ginocchio di lui. I convenevoli dell’ultimo bicchiere, degli ultimi saluti, le ultime promesse. Si impegneranno di vedersi presto. Mentendo.

Quando la coppia del vino giunse al compromesso tanto agognato, lei decise di prendere le stesso bottiglie elette. Le avrebbe bevute la sera stessa. Magari avrebbe potuto invitare anche lei qualcuno a cena. Uno sprono a mettere in ordine. Casa sua era allo sbando. Avrebbe potuto invitare le sue amiche di sempre, quelle con mariti e figli di cui prendersi cura, raccontargli i dettagli pruriginosi della sua notte di eccessi e sesso con… Si ricordò il nome all’imporvviso: Roberto.

Alla cassa si presentò con sei bottiglie di vino, una confezione di biscotti vegani ed una scatola di preservativi. L’uomo della coppia del vino guardò ciò che scorreva sul nastro della cassa e alzò lo sguardo su di lei. Improvvisamente si vide attraverso gli occhi di un altro. Le calze strappate, la gonna molto corta, la maglietta di un gruppo crust svedese e i lunghi capelli corvini ormai grigi sulle tempie. I tatuaggi in vista e le rughe attorno agli occhi. Quarant’anni appena compiuti e tutta la vita davanti.

«Sono il tuo peggiore incubo e il più proibito dei desideri» gli disse con lo sguardo che lui abbassò.

Lei sorrise alla cassiera, pagò con la carta di credito e uscì sentendosi attraversata dalla corrente elettrica.

«Non permetterò mai più a nessuno di considerarmi sua» sussurrò con le labbra al suo riflesso nella vetrina.

Novembre, 2014

SIGNORA VERRUCA

SIGNORA VERRUCA

Wendy, vecchi occhi di orzata
manto di pioggia e buccia di salame
naso umido pensante

Precipito insieme a te, goffa, al tuo fianco
che potresti liberarmi di questa mia vita tra le fauci
ma su cui vegli da tre minuti o tre millenni.

Ci siamo chiesti cosa fosse il tempo per il cuore di una cagna
con la memoria del fango,
delle infinite foreste,
delle lotte tra branchi,
del canto dei lupi
e dei falò dei primi uomini,
legata a quelle tue zampe inceppate
in un loop di sogni, ringhiare, tuoni e saggezza.

Resta ancora qui
perché io non ho i tuoi artigli
o la tua mandibola capace di spezzare ossa,
ma condivido quelle tue gengive insanguinate
a custodia di denti che il tempo ha limato.

E questi giorni, in cui ogni ora è preziosa,
ed ogni tua ora basta a restituire furia e fierezza
alla parola “cagna” nei secoli passati e in quelli a venire,
ho bisogno di te come mai prima.

Perché non ho ancora imparato a cambiare il pelo
e quella tua pelliccia, che puzza e seduce,
mi è necessaria per essere me stessa in questo mondo.

“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

“BRUCIA LA VECCHIA” SU EMOZIONI TRA E RIGHE DI ELIANA STEFANI

Articolo orginale qui

Recensione di “Brucia la vecchia”

28 Febbraio 2020

Ciao amici, lo so lo so, è da un pò che non vi tempesto di recensioni e vi sto mancando :p ma tra questa pandemia dettata dal Coronavirus -che ha portato a tenermi a casa Carlotta- e la ristrutturazione della casa nuova, mi sono trovata più occupata del solito però finalmente posso parlarvi di questo stupendo quanto triste libro.

Ho iniziato questo libro una mattina mentre facevo colazione in un bar della mia città e poi ho proseguito la lettura nel mio lettone, di sera, dove il silenzio e la calma creavano il perfetto ambiente di lettura.

In questo libro troviamo Nilde, un’adolescente che vive a Colle Torto, un paesello tra le montagne, insieme ai suoi nonni materni.

E’ li che un’estate arriva Alberto, buio ragazzo di città che porta un’aria di freschezza in quella vita triste e monotona della protagonista portandoli ad amarsi visceralmente e fondersi tra i primi rapporti e sinceri sfoghi giovanili ma tutto questo, insieme alla fine dell’estate, tramuta in uno shock enorme per la protagonista che viene a scoprire di aver un padre ovvero l’assassino di sua madre che ora ha scontato la pena e vuole conoscerla.

Cade così il mondo per Nilde ma non si scoraggia e decide di scoprire la verità sul passato di cui non ha mai sentito parlare; così facendo incontrerà persone diverse, mutate ma accomunate da sua madre, Alice ma dove condurrà questo intreccio di vite?

Leggere questo libro è stato come tornare adolescente…rivivere la mia gioventù nel mio paesello d’origine dove venivo sempre guardata ed etichettata perché diversa quindi è stato automatico, viscerale rivedermi in Nilde e sentirmi subito affine a questa protagonista.

Man mano che la storia prosegue, si scopre il passato dei personaggi collaterali che si intrufolano nella vita della protagonista sviscerando tante dinamiche e tante situazioni particolari che gli hanno condizionati a tal punto da strapparsi via le emozioni più belle della vita e tutto quanto perché un enorme senso di colpa gli attanaglia.

Nella storia vi è presente anche la tematica della sessualità mostrando come possa esser ricca di sfaccettature e come essa sia parte della vita di tutti noi; questo potrà sembrare particolare  ma io trovo che l’autrice abbia fatto capire quanto essa non debba esser un tabù ma vada apprezzata e considerata come un normale aspetto della vita di tutti noi sia che fossimo degli adolescenti sia che ci aspetti dietro l’angolo la pensione.

Un alto aspetto che emerge riguarda i segreti…segreti forti, atroci, violenti e vulcanici tanto da paralizzare le vite e congelare il cuore portandosi anche all’autolesionismo.

Segreti che condizionano, segreti che una ragazzina viene a scoprire e che affronta con la forza di una donna riuscendo a disarcionare dogmi e regole sociali affrontando scoperte anche brutali ma sapendo discernerle.

Inoltre ci si trova faccia a faccia con la depressione, con quella malattia che tanti rinnegano e quasi tutti evitano di affrontare.

Valeria mostra la depressione, la mette su un piedistallo e ci dice <<Guardatela! Capitela, o almeno non mettevi la benda sugli occhi!>>; ecco…queste pagine ci danno la possibilità di vederla, di affrontarla anche o almeno di venirne a conoscenza. 

Di Nilde vorrei avere la forza, la capacità totale di esser se stessa, di seguire ciò in cui crede e di pensare totalmente con la sua testa ma soprattutto la sua capacità di perdonare e dare un’altra possibilità.

Infine l’autrice, attraverso i vari personaggi, ci mostra come dietro a ognuno di noi ci possano esserci segreti, malvagità e finzione; ci viene palesato l’opportunismo, la gelosia, la violenza, la droga, la mancanza di dialogo e di sostegno.

In un certo senso ha raccontato buona parte delle schifezze della nostra società sottolineando quanto i silenzi e i segreti siano macigni enormi quindi…viva il dialogo e viva la sincerità.

Ora tocca a voi ragazzi…Brucia la vecchia vi aspetta!

Vi abbraccio

La vostra Ele