14 Giugno 2040, in strada verso il Bauwagenplatz di Strasburgo.
Mi sono svegliata, con la testa di Fausto appoggiata tra la mia spalla destra e la tetta. Quest’uomo che ha l’età per essermi genitore, dorme avvinghiato a me, senza smettere mai di stringermi in un forte abbraccio disperato. Come sull’orlo di un precipizio. Le mie gambe oltrepassano in diagonale il suo corpo rannicchiato contro il mio.
Qui, nei boschi sul fianco dei monti, le notti estive sono gelide e abbiamo avuto freddo. Abbiamo studiato ogni incastro di braccia, torso, gambe e guance per dormire, facendo aderire la maggiore superficie possibile dei nostri due corpi. Cambiando e stravolgendo ogni possibile innesto, ogni qual volta il sangue che faticava a scorrere nelle nostre vene, lo esigeva trasformando il suo bisogno in un nostro fastidio.
Fausto si è svegliato pochi istanti dopo, con un sorriso, bestemmiando.
«Mi fa male ogni cosa, ogni singolo muscolo del mio corpo» ha grugnito, stiracchiandosi nel poco spazio concesso dalla piccola mansarda, posizionata sopra la cabina di guida del camper in movimento.
Fausto mi ha baciato sulla fronte e dopo essersi messo le mani a conchetta davanti alla bocca, espirato e inspirato ciò che avevano trattenuto, ha fatto una brutta smorfia che si è trasformata in un sorriso da bambino.
«Merda… mi sembra di aver mangiato un ratto» ha borbottato.
«Non mi sembra ci fosse stata carne di ratto nei panini di ieri» ho obiettato.
Fausto ha schiuso le labbra per dire qualcosa, ma le parole gli si sono congelate prima di abbandonare quella lingua ispessita dal sonno e dai postumi. Ci ha riprovato, con maggiore determinazione, ma niente… Mi ha stretto in un abbraccio, mi ha baciato di nuovo la fronte – DeeDee, DeeDee… povera piccola – ha detto, scavalcandomi e saltando giù dalla mansarda, per atterrare nel corridoio del camper con un “oplà”.
«Non ci avete svegliati» ha protestato, borbottando, rivolgendosi a Giulio, al volante, e a Monica con una vetusta cartina stradale cartacea spiegata sul cruscotto davanti al sedile del passeggero.
«Eravate maledettamente carini» si è giustificata la seconda, girando il busto all’indietro e allungando un braccio, in cerca di un bacio da parte di Fausto, che l’ha accontentata, abbracciandola di sbieco.
«Buongiorno anche a te» lo ha salutato Giulio, che si è girato al tocco della mano di fausto sulla sua spalla, lasciando la presa del volante per rispondere con un pat pat sul dorso della mano di fausto.
«Buongiorno a te» ha risposto, accennando un inchino grottesco. Dopo alcuni istanti di silenzio, gli occhi di Fausto hanno incrociato quelli di Monica, Monica ha scambiato uno sguardo con Giulio, i due uomini si sono guardati ancora e sono scoppiati, tutti e tre, a ridere.
«Cosa cazzo è successo ieri sera?» ha chiesto Giulio, squassato dalle risate e con le lacrime agli occhi che faticava a domare lo sterzo del camper in corsa.
«Io non me lo so spiegare» ha risposto Monica, in affanno, per ritrovare tutta quell’aria che il ridere aveva sottratto dai suoi polmoni.
«Io… io, boh… non ho parole» replicò Fausto.
I tre infine si sono girati verso di me che nel frattempo ho raggiunto, abbandonando quel nido caldo e dall’aria viziata, in cui ho lottato contro il freddo e la scomodità con la complicità di Fausto.
Muti, mi hanno osservato, sorridendo. Nei loro occhi c’era qualcosa che io non conoscevo. Ed è stata Monica a infrangere il silenzio.
«Chiunque tu sia, dea furiosa che ti sei impadronita di questo corpo, non fare del male alla brava ragazza che ti ospita» ha detto, sollevando le mani e giungendole in preghiera davanti alla fronte, china verso di me.
Mi sono voltata, pensando si stesse rivolgendo a qualcuno alle mie spalle, ma no, non c’era nessuno a parte Siouxsie la Gallina che, appollaiata nel lavandino del bagno, cercava di fare un uovo tra starnazzi e improperi strazianti.
«Monica sono io, Dorotea, ed è da decenni che è stata provata l’inesistenza di divinità ultraterrene od eventuali possessioni ad essi riconducibili» ho fatto notare, sorpresa del fatto che Monica, per quanto possa essere considerata oggettivamente “originale” e fuori statistica, non mi sembra quel tipo di donna che possa credere nell’esistenza di dio. Davvero esiste ancora qualcuno che sente il bisogno di avere un’anima da salvare, nutrire e proteggere da un male che trascende il nostro controllo?
Fausto ha sbuffato, o forse era un sospiro, Monica ha alzato gli occhi al cielo e Giulio ha scosso la testa in segno di sconforto e diniego.
«Monica, perdonala, è una causa persa, ma ci sto lavorando – ha detto Fausto, passandomi un braccio attorno al collo – questa ragazza non sa cosa sia l’ironia e di tutte le lordure e le porcate fatte nel nome del Buonsenso, questa, è la più subdola delle ingiustizie» ha sentenziato, diventando cupo.
«Non saprà cosa sia l’ironia ma, capperi, sa come stare su un palco!» ha detto Monica.
«Perché state parlando di me come se non fossi presente? Anche questa è una forma di ironia?» ho chiesto ma poi, all’improvviso, ho ricordato e tutto mi è stato chiaro.
I lividi sugli stinchi, i capelli appiccicosi di birra, i graffi sulle braccia. Il taglio sul labbro superiore, la cui tenera carne ha eroicamente protetto, sacrificandosi, i miei incisivi dall’urto con il microfono stretto in un pugno che mi si è rivoltato contro. È stata una lucida follia. Una psicosi collettiva ed una suggestione corale. Da quando Fausto ha battuto quattro con le bacchette a quando Giulio ha lasciato vibrare le corde dell’ultimo accordo…
Qualcosa deve avermi posseduto per davvero.
Sono già stata ad un concerto, è ovvio… ho sempre amato la musica, ma l’intrattenimento e lo spettacolo nelle grandi arene, costruite e gestite dalla Woland Corporation, non ha nulla a che fare con quello che ho vissuto questa notte.
I concerti del 2040 avvengono in piccole città-fortezza, che ricordano l’urbanistica di certi borghi medievali e quel complesso sistema di mura e portali di accesso tra un settore e l’altro. Una volta varcato il grande portone centrale, il percorso recintato si apre su una grande area in cui è possibile convertire i propri crediti, in gettoni utili solo dentro quelle mura. Fuori da lì, quei gettoni, non hanno alcun valore mentre all’interno sono essenziali per acquistare i beni esposti – i cui i prezzi sono espressi in cifre esadecimali – nei diversi presidi delle aziende sostenitrici dell’artista.
I gettoni servono anche per poter scattare foto e condividerle sui propri diari digitali, mangiare, bere o usufruire delle toilettes.
Oltre la piazza centrale, superate le seconda mura, ecco che si arriva nel cuore dell’arena dove si svolgerà il concerto che è così organizzato: al centro di una dozzina di cerchi concentrici, si erge il palco diviso in un numero variabile di spicchi. I settori vengono popolati in base ai dati di ascolto della piattaforma di musica digitale Woland. Maggiore è il tuo punteggio all’interno della piattaforma (numero di fedeli della comunità elettronica, frequenza delle interazioni, acquisto di accessori e dispositivi a tema o pacchetti extra, fedeltà alla linea e allo stile dettati dal genere musicale, per esempio) maggiore è la possibilità che la scaletta dell’esibizione sia fedele alle tue abitudini di ascolto e, il posto che ti spetta di conseguenza, è all’interno dei settori più prossimi al palco con accesso esclusivo e quindi minore possibilità di entrare in contatto con altri utenti di classi inferiori. Chi può sedere in prima fila, insomma, ha la certezza di assistere ad uno spettacolo che soddisfa appieno le proprie aspettative. Mano a mano che si arretra, invece, i settori sono sempre più popolosi e raggruppano persone che non hanno espresso le stesse preferenze in quanto alle canzoni che avrebbero voluto sentire e in quale ordine.
E così la musica, distribuita per settori attraverso diversi canali radio e impulsi nervosi captabili dai dispositivi occhio-orecchio, raggiunge ogni singolo abbonato che ha pagato il biglietto per varcare la soglia di una delle grandi arene della musica dal vivo della Woland Corporation.
Ballerini e attori, distribuiti strategicamente attorno al totem a led che si erge al centro del palco, accentuano i 100 BPM standard (che le analisi sostengono sia il tempo ideale – e quindi l’unico possibile – per le esibizioni dal vivo) con coreografie frenetiche, cambi d’abito e spettacoli pirotecnici.
Ai musicisti sotto contratto della Woland spetta solo il compito di registrare la musica, che viene generata dagli algoritmi determinativi, per poi perdere qualsiasi diritto di reinterpretazione anche in occasione di feste private, esibizioni amatoriali o diletto personale.
Un musicista può suonare la musica che ha inciso, per cui è stato retribuito e per cui è conosciuto dalla sua comunità elettronica, solo a patto che non commetta errori. Una cattiva interpretazione rappresenta un vero e proprio atto di vilipendio nei confronti della Woland Corporation, poiché costituisce un danno alla sua immagine.
Ed è stato così che abbiamo messo fine alle proteste dei musicisti: ad ogni artista che commette un errore durante un’esibizione dal vivo o ha atteggiamenti, frequentazioni od opinioni che si discostano dal dogma e dal canone Woland, vengono decurtati alcuni crediti (anche noti come “Punti Autorevolezza”) ed è obbligato al pagamento di severe sanzioni.
Ogni passo falso costa crediti, credibilità e l’abbandono dei propri fedeli, poiché i Punti Autorevolezza fanno la differenza tra un artista credibile e capace di influenzare i consumi e le opinioni, da un artista che non promette alcun tipo di ricompensa sociale o passepartout per le élite della propria comunità elettronica.
Ci sono artisti che è bene ascoltare, leggere, indossare, esibire e seguire ed altri che piacciono solo ai perdenti. E nessuno vuole essere un perdente. Non lo volevamo prima del Grande Rogo Civile del ‘25 e non lo vogliamo adesso, in questi anni in cui il fallimento personale è calcolabile e misurabile con criteri scientifici. Desideriamo tutti piacere agli altri e ora abbiamo la possibilità di conoscere e dimostrare il nostro valore attraverso una valutazione imparziale, oggettiva e libera dagli inganni della percezione che abbiamo di noi stessi.
Quando la Woland Corporation ha proposto di fare a meno dei musicisti durante i concerti, e di preferire delle registrazioni coreografate, nessun artista aveva ormai più voglia di protestare.