Non sono un’attrice, però leggere i post associati a #apriamolestanzedibarbablù un pochettino mi ha fatto riflettere su certi episodi che racconto ridendo e schernendo quegli sfigati morti di figa come:
Il tizio dell’associazione culturale che mi ritiene cosa sua per avermi “scoperto” come scrittrice e le sue piazzate perché ho scelto un editore romano che “non mi merita”. Mi chiamava tutti i giorni, più volte al giorno fino a quando ho smesso di rispondere al suo numero e ho smesso di frequentare quella cerchia.
L’intellettuale filantropo che mi porta in quello stesso bar in cui la protagonista del mio primo romanzo fa un pompino, offrendomi non so quanti giri di campari col bianco – ignaro della mia predisposizione agli eccessi – lodandomi su quanto fossi stata brava a scrivere quella scena così autentica. Badate bene che il mio primo romanzo, sebbene scritto in prima persona, non si tratta di un’autobiografia – cosa difficile da far comprendere se una donna scrive scene di sesso* nel suo libro, ma è facilissima da accettare se un uomo scrive di uccidere e stuprare, non cambiare mai la carta igienica quando finisce, rubare l’elemosina in chiesa e tirare i calci ai cani, per esempio. Ricordo che dopo non so quanti giri ho visto un amico che passava e mi sono defilata andandogli incontro e mollando lì, il ricco filantropo, il pisello barzotto e il conto da pagare.
Il tizio che “lavorava nel cinema” e mi ha dato appuntamento direttamente in albergo.
Quello che mi aveva invitato per un weekend a casa sua, per parlare del mio romanzo che aveva divorato.
E fino a qui non avevo ancora compiuto 24 anni.
Poi c’è stato il “se pubblicherai questo romanzo tutti quelli che lo leggeranno vorranno scoparti” [testuali parole], che un po’ di ansia te la fa venire perché pensi che lo possano leggere anche i tuoi cugini e tuo suocero e, dai, che schifo. O quello che mi ha dato appuntamento a casa sua e non aveva manco letto il mio manoscritto in cerca di editore.
E questo solo in ambito sessuale, perché c’è un’infinità di modi per essere abusanti – mi piace come scrivi, ma scrivi ciò che dico io – nel momento in cui hai un briciolo di potere e hai davanti una babba come me col suo libricino in mano e gli occhioni da cagna in cerca di approvazione.
Ed io ogni volta sguscio via, ci rido su, dico che schifo, che morti di figa, sfigati… Per fortuna che esiste il punk e chiudo una porta. Un po’ come il trono di Pollon in cui metteva una monetina ogni volta che faceva qualcosa di buono in attesa che il trono fosse abbastanza grande da diventare dea, ma al contrario. Ogni volta che mi avvicino al mondo dell’editoria perdo un pezzettino di quel sogno di fare la scrittora e mi dico per fortuna che c’è il punk.
Per fortuna che c’è il punk. Lunga vita al diy.
*nei miei libri (e non credo di essere molto originale in questo, eh) la gente mangia, si droga, fa sesso, cammina, respira, lavora, fa la spesa, va in treno, lava casa, va al pub, cucina… vive (e muore, a volte). Eppure in questo meraviglioso, ampissimo e variegato spettro di azioni e hobbys che costituiscono la vita stessa, il fatto che i personaggi abbiano una sessualità e che questa sessualità faccia parte del loro “viaggio” vi crea moltissimo imbarazzo se a scriverlo è una femmina, nevvero?