Credo sia importante – lo è per me – rispettare questo rituale legato alla testimonianza. Perché mio padre me lo ricorda ogni anno. Oggi come allora è il suo compleanno e nel 2001 aveva chiesto ad una piccola Disagio di diciotto anni incazzata coi potenti della Terra, di non andare a Genova. Di farglielo come regalo. Ovviamente non lo ascoltai e il resto è storia.
Storia e fastidio nel vedere che a distanza di vent’anni persino i tiggì delle reti più paracule parlino con indignazione delle violenze delle Forze Armate, col musetto triste e che vergogna, buuuu, per le finte molotov piazzate per giustificare un massacro. Che schifo, signora mia! Che non accada mai più, mi raccomando!
Un fastidio paragonabile a quello dei lacrimogeni che abbiamo respirato e che mi hanno lasciato in dono un eritema che ricompare ogni volta che prendo il sole. Eppure sono stata così fortunata e non smetto mai di ripeterlo, sono stata fortunata, perché in quella scuola non ci abbiamo dormito.
Ma parlavo dell’eritema… di quell’eritema che da vent’anni mi viene se prendo il sole, ma sono fortunata – molto fortunata – perché è una fortuna che io odi il caldo, l’estate, la sabbia e la salsedine. le infradito e l’odore delle creme solari e odio il mare e odio Genova.
Le sue strade di asfalto che mi hanno massacrato i micropiedi, stretti – ovviamente – nei miei anfibi vecchia scuola numero 36 (con la punta di acciaio e il carrarmato rigido) durante quelle ore, ore e ore, di fuga interminabile sotto quel sole di Luglio. Ma siamo state fortunate, continuo a ripeterlo, siamo state davvero fortunate. Quella fortuna tipica degli ingenui che credevano davvero di poter cambiare le cose prima che fosse troppo tardi.
Fresche di maturità e allo sbaraglio tra le strade di Genova coi nostri zainetti senza limoni, maschere o DPI improvvisati, perché credevano in determinate robe: alcune di quelle cose in cui credevamo si sono dimostrate reali e altre, invece, delle giga-stronzate.
Tra quelle vere ci metto quella timida idea che, se le cose non fossero cambiate subito, per la nostra civiltà si sarebbe messa maluccio su tematiche dell’ordine di – come lo direbbero quei Tiggì di cui sopra col musetto allarmato, però – EMERGENZA TERRORISMO, EMERGENZA CLIMATICA, EMERGENZA MIGRANTI, EMERGENZA ECONOMICO-SANITARIA, EMERGENZA INTERSTELLARE, EMERGENZA ALIMENTARE, EMERGENZA CARTA IGIENICA, EMERGENZA WI-FI, EMERGENZA NON SI TROVANO PIÙ CAMERIERI, EMERGENZA CALDO, EMERGENZA LAVORO, EMERGENZA FREDDO, EMERGENZA TOMBINI, EMERGENZA SPAZZATURA, EMERGENZA RAZZISMO, EMERGENZA MORTI TRA I POMODORI, EMERGENZA MILLENIAL, EMERGENZA DELLA PICCOLA IMPRENDITORIA, EMERGENZA DELLA LOGISTICA… che noi, ecco, molto umilmente additavamo come conseguenze di una globalizzazione portata avanti secondo le logiche (sebbene ci sia ben poco di logico) del capitalismo.
C’è stato un momento, quel momento, in cui davvero si poteva evitare che qualsiasi merda di fenomeno diventasse un’EMERGENZA che richiede misure rigide, tempestive e spesso sbagliate e un cicinin liberticide. Chi mi restituisce la libertà di pulirmi le orecchie coi Cotton Fiok e bere un cocktail con una cannuccia, per esempio? Chi?!? Però in compenso possa mangiami un avocado intanto che un caporale ammazza di lavoro un migrante che raccoglie pomodori a qualche centinaio di chilometri da me. Vuoi mettere?
Tra le giga-stronzate a cui credevamo ci metto… c’è bisogno di dirlo? Mannaggia, mannaggia, mannaggia! Andavamo in giro facendo il mantello con la bandiera della pace, merda! Avevamo diciotto anni… Una non si ripiglia più da una così oscena e volgare manifestazione del potere. Come quando ti pigli in giovane età una sbronza di vodka al melone e non puoi più sentirne manco l’odore per il resto della tua vita. Ecco, a me il G8 di Genova e la fine del Movimento No Global mi ha lasciato quella nausea tipica delle brutte sbronze e, da allora, mi basta davvero poco per aver voglia di vomitare. Lo sento subito il puzzo che emana il potere e le sue dinamiche schifose e corrotte anche lì, dove meno te lo aspetti che il potere possa farsi abusante. E per questa cosa non c’è cura. Non è che basta non bere più vodka al Melone del discount e vivere come se nulla fosse, perché a me il G8 di Genova mi ha fatto diventare come gli astemi che dicono “non mi piace il sapore dell’alcol” perché quel sapore lo sentono ormai OVUNQUE.
Ed io questa cosa me la porto dentro da vent’anni. E credo davvero che la mia vita sarebbe stata un pochetto più semplice se esistesse una cura per questo brutto fastidio. Questa mia impossibilità di credere che ci sia un potere “buono”. Il male fisico che provo davanti alla perdita dell’empatia giustificata dall’appartenere o meno ad un ordine di cui si detiene il controllo… o lo si brama. Anche a costo di mentire davanti alle evidenza e inventare una realtà parallela e sci-fi (“Si stato tu, con il tuo sasso” dicevano. “Il proiettile è rimbalzato su un sasso lanciato da un manifestante” dicevano).
Beh, questa mia insana voglia di libertà, giustizia ed equità è incurabile davvero e, ora lo so, il contagio è avvenuto in quei giorni di Luglio del 2001 a Genova.
A Carlo Giuliani e a chi lo piange, come sempre. Come ogni anno, da vent’anni.