Non si tratta di essere snob. Personalissimo anatema contro i ristoranti All you can eat
Mi verrebbe voglia di prendermi a schiaffi da sola per ciò che sto facendo e cioè accostare una meravigliosa pagina di letteratura italiana (tratta da “La Storia” di Elsa Morante), a quello che sto per scrivere, ovvero il mio personalissimo anatema contro un’espressione e un fenomeno sociale specifico: ALL YOU CAN EAT.
Sono quei ristoranti dove con pochi e indeformabili euro possiamo prendere tutto ciò che ci riesce di mangiare, prendi quello che vuoi quante volte volte vuoi.
Se ne è già parlato anche qui su Dissapore, è proprio alla domanda con cui si chiude il post (“Ci si riempe lo stomaco senza svuotare il portafoglio, il solo metro è la dismisura, l’unica categoria è l’enormità. Ma resta un pregiudizio a frenare il successo del modello all you can eat in Italia, il pregiudizio che in questi ristoranti si mangi male. Solo un pregiudizio?” ) che rispondo con il brano tratto dal romanzo di Elsa Morante.
Non ho provato tutti i ristoranti che praticano il cosiddetto ALL YOU CAN EAT, ma qualcuno sì. A Milano, come in Inghilterra così come in Giappone. E la risposta, per la mia umile esperienza è che sì, si mangia male, ma non è della qualità del cibo che sto parlando, o almeno… non solo!
Parlo della modalità, del rituale e del fenomeno antropologico che consiste nel servirsi da sé, quando si sa che ciò che si mangia è gratis o costa poco. Io, che sto sempre dalla parte degli ultimi e mi sono fatta le ossa recensendo birre spuzze e formaggi che diventano blu, posso permettermi di giudicare l’avventore medio di un ALL YOU CAN EAT.
Perché posso farlo?
Perché non ho un’attitudine snobistica nel farlo e perché, a costo di risultare impopolare, se mi dovessero offrire una cena sceglierei comunque un ristorante cinese di provincia (coi suoi buffi e graziati regalini, tanto fragili quanto di cattivo gusto), rispetto a un qualsiasi locale blasonato. – Io sono uno di voi! –